Nel 2009 erano venti «piccoli indiani», tre anni dopo ne sono rimasti solo dieci, di cui ben tre destinati a uscire comunque di scena nei prossimi mesi e una, la cancelliera Merkel, sempre più in bilico dopo la disastrosa disfatta del suo partito nelle elezioni della Renania- Westfalia. Nessun documento illustra la falcidia di leader provocata dalla crisi economica quanto la fotografia del G20 di Londra, il primo cui abbia partecipato il neoeletto Barack Obama. È vero che alcuni, come il brasiliano Lula, il russo Medvedev o il sudafricano Motlanthe, sono scomparsi perché i loro mandati non erano rinnovabili o perché non si sono ripresentati alle elezioni (nel caso del russo, sostituito d’autorità da Putin, per ragioni indipendenti dalla sua volontà). Ma la maggioranza è stata spazzata via dagli elettori da una tempesta quale raramente si era vista in tempi recenti: il laburista Gordon Brown, anfitrione nel 2009, ha dovuto cedere il passo al conservatore Cameron; il socialista Zapatero si è ritirato per evitare l’umiliazione di essere stracciato nelle urne dal popolare Rajoy; Kevin Rudd è stato fatto fuori dalla compagna di partito Julia Gillard perché gli australiani non ne potevano più del suo fanatismo ecologista; Silvio Berlusconi ha lasciato il potere spontaneamente, senza essere stato battuto né in Parlamento né alle urne, per senso di responsabilità verso il Paese; il giapponese Taro Aso, accusato di non sapere gestire la crisi, è stato vittima di uno dei periodici cambi della guardia tradizionali del suo Paese e ha lasciato il posto a Naoto Kan (che, fiutando l’aria che tira, come primo provvedimento ha rinunciato allo stipendio).
Fino a ieri, a pagare per la rabbiadei cittadini erano stati soprattutto leader della sinistra, accusati di avere dilapidato troppe risorse, ma ultimamente l’ecatombe ha cominciato a colpire anche a destra, con motivazioni opposte: il francese Sarkozy e l’olandese Rutte sono stati sbalzati di sella perché avevano sposato, in concerto con la Merkel, la politica del rigore, dei sacrifici e del pareggio di bilancio.Insomma,l’ira popolare si rivolge contro chi è al governo, indipendentemente dal suo colore. Ma anche i sopravvissuti non se la passano bene: il messicano Calderon scadrà tra pochi mesi, l’ottuagenario indiano Manmohan Singh sta per essere sostituito e perfino Hu Jintao è destinato a scomparire dalla scena in ottobre quando è in programma il decennale cambio della guardia che vige in Cina. Quanto alla Merkel ha preso domenica un colpo che la indebolisce moltissimo e pochi scommettono sulla possibilità che ottenga un terzo mandato dalle elezioni dell’autunno 2013: al massimo potrà tornare al potere in una nuova Grande coalizione con i socialdemocratici.
In pratica, resistono solo i monarchi assoluti, come re Abdullah dell’Arabia Saudita, o personaggi con credenziali democratiche non perfette come l’argentina CristinaFernandez o il turco Erdogan. Ecco perché il «ritratto di famiglia » del G20 di tre anni fa è stato battezzato «la foto che fa paura a Obama». Seguirà la sorte di quasi tutti i leader occidentali e sarà battuto da Romney alle elezioni di novembre o diventerà l’eccezione che conferma la regola?
Al momento, i sondaggi danno i due candidati quasi alla pari, anche se nell’ultimo il repubblicano è passato per la prima volta in testa.Tutto dipenderà dall’andamento dell’economia, e in particolare dall’orientamento degli elettori nei confronti delle due«ricette»per combattere la crisi.
Se preferiranno quella del pareggio di bilancio e dei tagli alle spese che la Germania ha cercato di imporre - sempre più contestata - nella Ue, vincerà Romney; se invece anche gli americani privilegeranno una politica keynesiana di stimolo alla crescita (e la disoccupazione, oggi all’8,1%, scenderà sotto la soglia critica dell’ 8), dovrebbe rivincere Obama. Questi, comunque, ha una consolazione: al G20 2012 di fine mese, lui ci sarà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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