Tanti saluti da Brick Lane la Little Italy di Londra

Nella capitale inglese vivono quasi 400mila italiani. E in questo quartiere nel cuore della città l'odore di espresso sta soppiantando quello del curry

Tanti saluti da Brick Lane la Little Italy di Londra

Brick lane, primo est della città. Il quartiere si apre subito dopo lo square mile, il miglio quadrato centro della finanza europea. Ristoranti, centinaia di persone, il mercato, i negozi, il rumore. Prima della metà degli anni Novanta era diverso. Molto. Quella che oggi è la City quasi non esisteva e Brick Lane era un quartiere a se, per i più off-limits: il regno della comunità «bangla» in Inghilterra.
«È cambiato molto da quando sono arrivato quattro o cinque anni fa -racconta in una conversazione con Il Giornale Walter Remi, 29 anni, pugliese, a Londra dal 2008 e impiegato in una società di sicurezza-. Certo, il quartiere era già in via di “gentrificazione“ (da gentry, la piccola nobiltà inglese, ndr), ma i suoi abitanti venivano dalle più disparate parti del mondo. Non come adesso».
Tutto è iniziato quando alla fine degli anni Novanta nel quartiere sono cominciati a confluire i primi artisti in cerca di affitti minimi. E come nel romanissimo quartiere Pigneto con il suo «scrittore residente» Francesco Pacifico, in poco tempo sono stati imitati da centinaia di altre persone. Poi, a metà degli anni Duemila, gli inglesi si sono trasferiti lasciando il posto agli italiani, gli spagnoli e i francesi arrivati a Londra nel generale fuggi fuggi dalla recessione del vecchio continente. Ma mentre spagnoli e francesi si accontentano di aver trovato un proprio spazio a Brick Lane, gli italiani stanno trasformando il quartiere. Ormai passeggiando per la main street ciottolata si trovano connazionali a ogni angolo: davanti ai supermercatini, fuori dai baretti che vendono birra indiana, dentro ai coloratissimi negozietti di dolcetti del sud est asiatico, all'interno dei ristoranti di curry a buon mercato. Famiglie, anziani, gente del nord, del sud, di grosse città e di paesini conversano e ridono tranquilli come fossero sulla piazza centrale della città che hanno ormai lasciato alle spalle. E non c'è da stupirsi di questa presenza. Secondo i dati forniti dal Consolato Generale d'Italia a Londra al Giornale gli italiani iscritti nell'anagrafe consolare nel 2013 sono 205mila (numero che tiene conto anche dell'inclusione del consolato di Bedford nella circoscrizione di Londra) quando nel 2006 erano soltanto 105mila. Un incremento con un ritmo medio di 250 connazionali al mese nel 2007, 500 nel 2008, 830 nel 2009, 580 nel 2010, 500 nel 2011 e 1200 nel 2012. Ma c'è di più. I dati tengono conto soltanto delle persone effettivamente iscritte all'associazione degli italiani residenti all'estero (Aire), un iter che molti evitano per paura di incorrere in un processo lungo e burocratico. Così, sempre secondo i dati del Consolato, gli italiani che vivono a Londra senza essere iscritti all'Aire sono circa 193mila, numero che sommato ai 205mila residenti ufficiali rende Londra e i suoi 390mila abitanti italiani la settima città della Penisola: secondo i dati Istat del 2012 appena sotto Genova e subito sopra Bologna. C'è un'altra importante peculiarità da evidenziare in questa nuova Little Italy che va formandosi nel primo est londinese. A Brick Lane vige una ferrea regola non scritta. A metà della main street c'è un ponticello coperto che connette il vecchio birrificio Truman a un ex magazzino ora diventato un locale. Il lato sud è ancora fermamente in mano alla comunità bangla ed è occupato dai suoi ristoranti, negozietti islamici e sale da tè profumate e gremite. Il lato nord invece è in mano ai nuovi arrivati, ai loro caffè organici con camerieri tatuati, ai bar libreria con i commessi capelloni e ai negozi di vinili pieni di clienti in giacca di jeans. Per il momento è li che sono concentrate le pizzerie, i ristoranti e i bar degli italiani.
Gli odori delle due culture vivono uno di fianco all'altro ma senza mischiarsi. Due mesi fa però qualcosa è cambiato. Guido Baldrani, 32 anni, romano, e la sua ragazza, Francesca Raiti, 28 anni, anche lei romana, hanno varcato il ponticello coperto della Truman Brewery e aperto il primo bar italiano oltre quell'immaginario confine.

Fuori, sopra la porta, un tricolore a segnare la provenienza mentre l'odore dell'espresso che emana dal baretto si fa forza tra quello del riso al curry che proviene dai ristoranti davanti e di fianco. «Vedrai - dice divertita la coppia - adesso che abbiamo rotto il tabù gli altri italiani ci seguiranno a ruota. È l'inizio della nostra Little Italy».

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