Abe il duro ringrazia la Corea: così può riarmare il Giappone

Il premier nazionalista schiera i missili Patriot e fa installare batterie anche nel centro di Tokyo. Ma il vero nemico è la Cina

Le minacce sono un bluff, ma le conseguenze sono reali. Il Pacifico è un tavolo da poker impazzito dove i rilanci di un giocatore imprevedibile spingono tutti gli altri ad aumentare la posta. Così mentre Pyongyang chiede agli stranieri di abbandonare la Corea del Sud per evitare problemi «in caso di guerra», il Giappone del premier Shinzo Abe schiera i missili Patriot. Un'escalation che preoccupa anche la Nato vista la decisione del segretario generale Rasmussen di volare già domani a Seul e proseguire poi verso Tokyo. Le mosse del Giappone non vanno comunque scambiate per paura. Il posizionamento di tre batterie pronte a neutralizzare un attacco nordcoreano sono nel segno di quella svolta difensiva voluta dal primo ministro liberale Shinzo Abe dopo la vittoria elettorale di dicembre e il ritorno alla guida del Paese.

Una svolta in cui la Corea è solo un tassello. Per il nazionalista Abe la partita più importante è infatti con Pechino. Il suo ritorno al potere è – del resto - frutto delle decise posizioni assunte sulle Senkaku, le isole al centro di una dura disputa territoriale con la Cina. Da sola neppure la contesa delle Senkuku basta, però, a spiegare perché il Giappone punti ad una revisione di quell'articolo 9 della Costituzione che gli impedisce di darsi un esercito all'altezza della propria statura politico-economica. Per capirlo bisogna guardare all'insieme della proposta di Shinzo Abe. La proposta di un premier che vuole liberare il Giappone dai sensi di colpa della Seconda Guerra Mondiale restituendogli il senso dell'onore e della tradizione. Un percorso di rinascita già indicato da Shinzo Abe nel best seller «Verso una bella nazione» pubblicato alla vigilia della prima nomina a premier. Percorso indicato da Shinzo Abe anche con controversi passi pubblici e privati.

Come quando visitò il sacrario per i caduti di guerra di Yasukuni sfidando la cultura antimilitarista o, peggio, contestò le tesi secondo cui l'esercito nipponico trasformava in schiave sessuali le straniere catturate nella Seconda Guerra Mondiale. Ma questi e altri «anticonformismi» - come il sostegno alla caccia della balena - contribuiscono alla sua fama di genio e sregolatezza. Fama sconfinata in campo economico dopo la recente decisione di consentire un'emissione senza precedenti di carta moneta per svalutare lo yen e rilanciare un'economia schiacciata dalla deflazione. Una misura sui cui effetti a lungo termine nessuno si sbilancia, ma capace nell'immediato di risvegliare le borse e guadagnargli l'appoggio dell'opinione pubblica. Forte di quel consenso Abe sembra sempre più convinto di poter mettere mano anche alla revisione dell'articolo 9. Lo schieramento dei Patriot va in questa direzione. Il passo successivo sarà, probabilmente, il rilancio del dibattito sull'eventuale risposta al lancio di una testata nordcoreana verso una base americana. In base all'articolo 9, che vieta la difesa collettiva, Tokyo può solo star a guardare. Secondo i sostenitori della revisione costituzionale il Giappone deve invece poter intervenire a difesa di un alleato.

Anche in questo caso Abe usa Pyongyang per indicare

Pechino. Schierando i Patriot fa capire che solo riarmandosi sarà possibile farsi valere e arginare, al caso, anche la Cina. Quello è il nemico storico. E con quello, pensa Abe, bisogna fare i conti per garantirsi un futuro.

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