La vittoria di Malala: i talebani le chiedono scusa

Il leader degli estremisti pakistani è costretto a piegarsi. E in una lettera si dice sconvolto per l'"incidente" e la invita a "frequentare una madrasa"

La vittoria di Malala: i talebani le chiedono scusa

Che gran furbastro, il leader talebano che chiede scusa a Malala e così riesce a ottenere titoli in tutto il mondo. La notizia è di ieri: Malala Yousufzai fra tanti messaggi di affetto e di congratulazioni giunti dopo il 12 luglio giorno del suo 16simo compleanno, ne ha ricevuto uno davvero speciale. Malala aveva svolto all'Onu un discorso commovente e di grande impatto, ricordando come i talebani le avessero sparato perché, nonostante la discriminazione che imperversa in Pakistan, voleva andare a scuola e istruirsi. La ragazzina, che ha incitato tutti i bambini a non accettare il divieto all'istruzione e a non farsi prendere dalla paura, ha ricevuto grandi applausi (forse l'Onu ha dimenticato per una volta che si tratta di una critica al mondo islamista) e incoraggiamenti. Ed ecco che, con copia consegnata anche al Channel Four News in Inghilterra, arriva una lettera strana: è scritta proprio dal leader dell'organizzazione pakistana che ha rivendicato l'attacco a Malala, «Tehriru Taliban».

Il leader si chiama Adnan Rashid, ed un tipo piuttosto deciso: dopo essere riuscito a evadere in primavera a cavallo di una rivolta di massa da un carcere, ha subito minacciato con un video di assassinare Musharraf, l'ex presidente del Pakistan tonato dall'esilio: «Ho formato una squadra di assassini per ucciderlo, così non tornerà alla politica». Rashid scrive a Malala una frase strappacuore e che fa spalancare gli occhi: le spiega che rimase scioccato dall'attacco (che definisce un «incidente»), che ha sentito rimorso per quello che è accaduto, che ambedue appartengono alla stessa tribù degli Yousufzai, che avrebbe voluto che non fosse mai accaduto, le dice anche che quando era in prigione (ci è rimasto otto anni) le voleva chiedere di non svolgere attività antitalebane. Un consiglio mafioso, a giudicare dal seguito della lettera, perché dopo aver dimostrato a Malala fraterna amicizia e compassione, la riempie di consigli: «Attenzione, i talebani non ti hanno attaccata perché andavi a scuola o ti volevi istruire. Non siamo contro l'educazione di nessun uomo, donna o ragazza. I talebani pensarono che tu stessi intenzionalmente conducendo una campagna di diffamazione contro i loro sforzi di stabilire un sistema islamico a Swat e che i tuoi scritti fossero provocatori». Più avanti il dispiacere di Adnad Rashid diventa ancora più peloso, perché senza smentire affatto la sua biografia, piena di Sharia fino alla punizione capitale di chi contravviene, fino appunto a sparare o a usare il vetriolo, arma epidemica contro le donne, il capo talebano giustifica a pieno i peggiori gesti di violenza del suo gruppo: «Perché facciamo esplodere le scuole?» Adnan lo spiega: con la scusa dell'istruzione diventano luoghi di controllo e di sorveglianza contro i talebani.

Rashid chiede dunque a Malala di abbandonare le sue ambizioni culturali e le costruisce il programma per il futuro: «Torna a casa, adotta la cultura islamica e pashtoon, e unisciti a una madrassa islamica femminile». Così il capo talebano, evidentemente consapevole del fatto che la ragazzina ha suscitato una potente onda di disapprovazione verso la sua organizzazione e le discriminazioni islamiche contro le donne in generale, si preoccupa di ristabilire una buona fama per i talebani, adesso molto lanciati in una strategia globale che comprende la presenza in Siria e un dialogo con gli americani in Afghanistan. Stabilisce una polemica con la bambina di 16 anni cui ha fatto sparare alla testa. È una mossa ambiziosa ma anche un segnale di debolezza interna. Casca l'asino quando cerca di spiegarle che è meglio esser attaccata dai talebani che dagli americani: «Sii onesta, se fossi stata colpita da un drone il mondo avrebbe mai potuto avere notizie sulla tua salute? Saresti stata mai chiamata all'Onu?».

Manca solo che Rashid chieda a Malal di ringraziarlo per le pallottole che le colpirono la testa, il viso, il collo mentre andava a scuola il 9 ottobre 2012, e per cui rimase all'ospedale in condizioni gravissime per tre mesi. A giudicare dalle parole di Rashid, si prepara un futuro molto duro per le donne quando gli americani se ne andranno dall'Afghanistan.

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