
«L’Europa ha imposto con successo dazi su se stessa». È quanto ha sottolineato l’ex premier e presidente Bce, Mario Draghi, in un commento pubblicato dal Financial Times. L’Eurozona, spiega Draghi, ha registrato una crescita minima alla fine dello scorso anno e ora si trova nel mirino dei dazi statunitensi, aumentando l’incertezza economica. Due fattori principali hanno portato l’Europa in questa situazione, ma possono anche rappresentare la via d’uscita, se si accetta un «cambiamento radicale». In primo luogo, «l’incapacità di lunga data dell’Ue di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi», che risultano «molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli Stati Uniti potrebbero imporre». Secondo il Fmi, queste barriere equivalgono a una tariffa del 45% per il manifatturiero e del 110% per i servizi. La regolamentazione ha inoltre ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche. «Nel complesso, l’Europa ha di fatto aumentato le tariffe doganali all’interno dei suoi confini e rafforzato la regolamentazione in un settore che rappresenta circa il 70% del Pil dell’Ue». In seconda istanza, l’Europa ha tollerato una domanda interna stagnante dal 2008, aggravando i problemi strutturali. Il confronto con gli Stati Uniti è netto. «Dal 2009 al 2024, il governo Usa ha immesso nell’economia oltre cinque volte più fondi rispetto all’Eurozona: 14.000 miliardi di euro contro 2.500 miliardi», ha osservato l’ex numero uno di Bankitalia sottolineando che questo ha reso l’Ue troppo dipendente dalle esportazioni. Draghi propone un «uso più proattivo della politica fiscale», con maggiori investimenti produttivi per ridurre i surplus commerciali e incentivare le aziende a investire in ricerca e sviluppo. Ma serve «un cambiamento radicale»: l’Europa ha «sempre agito con obiettivi singoli o nazionali, senza calcolarne il costo collettivo». La conservazione delle finanze pubbliche, l’eccesso di regolamentazione e le barriere interne «sono retaggi di un’epoca in cui lo Stato nazionale era la cornice naturale per l’azione». Tuttavia, «è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale». Anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nel corso del suo intervento al 31simo Congresso Assiom Forex a Torino ha analizzato i rischi delle nuove politiche protezionistiche statunitensi, evidenziando come Italia e Germania sarebbero tra i Paesi più colpiti. L’impatto negativo sull’area euro sarebbe di circa lo 0,5% del Pil, ma per economie fortemente integrate con il mercato Usa, come quella italiana, le conseguenze potrebbero essere più severe. Secondo le stime della Banca d’Italia, «se i dazi annunciati in fase pre-elettorale fossero attuati e accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del Pil globale si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali», ha detto Panetta aggiungendo che «per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti». Per il governatore «l’Europa sta subendo questi sconvolgimenti, tardando a maturare una convinta risposta comune». A questo proposito Panetta propone un Patto europeo per la produttività. «Servono investimenti ingenti che nessun Paese può affrontare da solo», ha affermato.
Altrettanta attenzione deve essere posta dalla Bce perché «le decisioni di politica monetaria devono sempre basarsi su una valutazione complessiva delle prospettive dell’economia reale e dell’inflazione», ha sottolineato rilevando come gli effetti del taglio dei tassi siano stati meno incisivi delle attese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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