Meloni punta sulle europee: il Ppe e l'intesa con Macron

Voto nel ’24, ma il «vento» di Spagna brucia i tempi Ecr per l’alleanza. Convergenze «green» con Renew

Meloni punta sulle europee: il Ppe e l'intesa con Macron
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Dopo il voto in Grecia dello scorso 21 maggio (al netto di un proporzionale puro che impone di tornare alle urne, il partito di centrodestra Nea Dimokratia ha scavallato il 40%), arriva la Spagna a sancire un deciso cambio di passo che potrebbe condizionare i futuri equilibri della politica europea. Domenica scorsa, infatti, nella Penisola iberica si è votato per rinnovare 12 delle 17 comunità autonome (le nostre Regioni) e circa ottomila comuni. E per il Partido popular è stato un plebiscito. Con il tracollo del Psoe, che ha portato il premier spagnolo Pedro Sanchez a sciogliere il Parlamento e convocare le elezioni anticipate per il 23 luglio. E con un ottimo risultato di Vox, la destra che nel 2022 in Spagna diede vita insieme al Pp al cosiddetto «modello Castilla y León», il primo «gobierno-laboratorio» in vista di una possibile intesa a Bruxelles tra Ppe e Ecr dopo le elezioni europee del 2024. Fu proprio a Marbella, infatti, che quasi un anno fa Meloni fece il suo ormai celebre comizio «yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre».
D’altra parte, il vento dell’Europa spinge in questa direzione da tempo. Non solo perché dopo le politiche in Svezia, quelle in Italia e il voto in Grecia, sono arrivati i risultati della Spagna. Ma anche perché lo schieramento socialdemocratico è privo di una leadership europea di peso e fa pure fatica a trovare seconde file. Caduto Sanchez in Spagna (è improbabile che a luglio possa tornare premier), in Europa restano esecutivi di centrosinistra solo in Portogallo e Gercon un Paese che se la deve vedere con un’inattesa re, cessione. Che, stando alle previsioni di Bruxelles, è frutto soprattutto delle conseguenze della pandemia e che il prossimo anno sarà superata, ma che oggicondiziona non poco la governance di Berlino. Insomma, l’Europa vira a destra. Tanto che Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi a Bruxelles, si augura si tratti di un «antipasto» delle Europee. D’altra parte, i numeri vanno esattamente in quella importante nella proporzione degli eurodeputati che ogni singolo Paese elegge al Parlamento europeo. E, vo lendo andare a ragionare sul dettaglio, si potrebbe sottolineare che in questa tornata re gionale - per la prima volta nella storia della Spagna - l’Andalusia (la regione più popolosa) ha visto vincere il Partido popular in tutti i capoluoghi. Ecco, se questo è il trend - al netto del successo di Vox - è evidente che siamo vicini ad un cambio di paradigma.
Anche perché gli altri Paesi europei più popolosi- non la Germania, ma sicuramente Italia e Polonia- si muovono in quella direzione. Con la Francia che è un caso a parte, perché in quel di Parigi la sinistra che fa capo ai socialisti non ha un ruolo impattante e il confronto è tra la macroniana Renew e la destra di Marine Le Pen. Non a caso, a Bruxelles Fdi guarda già avanti. Con la consapevolezza che difficilmente un’intesa Ppe-Ecr sarà sufficiente - numericamente parlando - ad avere i numeri per dare la carte in Ue nel 2024. Per quanto possa andare male, infatti, il Pse resterà con ogni probabilità il secondo partito europeo.

E per creare una maggioranza numerica che sia vincente Ppe e Ecr avranno bisogno di sponde. Ecco perché da qualche mese i Conservatori- di cui Meloni è presidente - guardano con molto interesse a Renaissance, con grandi convergenze (anche nei voti al Parlamento Ue) sulla transizione green.

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