Un nuovo patto tra Europa e Usa

L'America di Trump non chiede all'Europa neutralità, né tanto meno di ergersi a giudice delle scelte a stelle e strisce

Un nuovo patto tra Europa e Usa
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Le parole che i lettori del Giornale hanno letto sabato dalla penna di Mike Pompeo, ex Segretario di Stato Usa ed autorevole conoscitore del pensiero trumpiano, chiariscono bene gli obiettivi del nuovo Presidente. Non una rottura tra America ed Europa ma al contrario un tagliando ad una alleanza che necessita di essere ristrutturata. Quello che la Casa Bianca deve affrontare è un contesto internazionale complesso e aggressivo, con molti fronti aperti: le guerre, quelle combattute, come in Ucraina, o quelle striscianti, come intorno a Taiwan. La competizione tecnologica, con la Cina, ma anche con l'India. I nuovi equilibri in Medio Oriente, oltre evidentemente tutti i temi interni, quali inflazione e immigrazione.

In questo contesto, l'America di Trump non chiede all'Europa neutralità, né tanto meno di ergersi a giudice delle scelte a stelle e strisce. Vuole semplicemente capire se l'asse euro-atlantico sia ancora una alleanza strategica in grado di incidere sui destini geopolitici della terra. Dunque risposte concrete a sollecitazioni basate su dati di fatto. Su un lato e l'altro dell'oceano infatti i pesi con cui il cosiddetto mondo occidentale si spartisce gli oneri comuni appare assai diverso. E in effetti, lo è. Come diverse sono le condizioni socioeconomiche e politiche. L'America si fa carico della maggioranza delle spese militari per la nostra sicurezza, anche quando ad essere minacciati siamo più noi di loro: oltre il 5% della ricchezza Usa viene spesa così, in Europa siamo sotto il 2%. A ciò fa da contraltare un deficit federale importante a Washington e una bilancia commerciale negativa, mentre l'Europa esporta assai più di ciò che importa.

Gli Stati Uniti fronteggiano da soli la sfida delle sfide, quella per la supremazia tecnologica, messa in discussione proprio in queste ore dalle novità provenienti da Pechino sulla intelligenza artificiale, mentre a Bruxelles ancora qualcuno si permette di storcere il naso nei confronti di quei colossi che, con i loro investimenti e le loro dimensioni, consentono al nostro mondo di mantenere un primato scientifico e di ricerca sulle potenze emergenti. Insomma, il cuore del ragionamento trumpiano non appare così isolazionista, ma semmai assume i contorni di una grande chiama alla corresponsabilità dei due continenti alleati, che possono aiutarsi, purché l'Europa trovi il coraggio di risolvere alcuni problemi ormai congeniti.

Una America forte militarmente, ma indebitata, fortissima industrialmente, ma con meno export di quando necessiterebbe la sua economia, si confronta con una Europa, commercialmente fortissima, ma in deciso declino industriale e tecnologico, militarmente in miniatura e poco propensa alla competizione globale.

Cogliere alcuni stimoli lanciati dalla amministrazione Usa non può che far bene al vecchio continente. E su questo il nostro paese può giocare un ruolo centrale. Non solo perché oggi appare uno dei pochi interlocutori ad aver aperto un solido dialogo con Trump, mentre la confusione regna a Parigi e Berlino, ma perché la nostra economia mostra proprio tutti i sintomi che la diagnosi Usa individuano come elemento di debolezza.

L'Italia va meglio del resto d'Europa, grazie ad un governo stabile, una accorta gestione del debito, e alcune voci, una su tutte, il turismo, in forte espansione. L'industria però non cresce, gli investimenti delle imprese restano deboli nonostante gli incentivi, la ricerca e l'innovazione languono. Le condizioni per una correzione di marcia ci sono tutte, e questo colpo di timone non farebbe bene, come qualcuno ritiene, all'America di Trump, ma alla stabilità e alla sicurezza del nostro paese, che potrebbe essere d'esempio anche per il resto d'Europa.

Investire di più in difesa e sicurezza per noi vorrebbe dire maggior lavoro per imprese italiane che rappresentano una eccellenza mondiale: Leonardo, Fincantieri, che stanno dando prova di grande vitalità con i loro consorzi e accordi internazionali. Dunque, quella crescita industriale che manca ormai da anni. Investire in tecnologia vorrebbe dire sottrarsi almeno in parte alle oziose polemiche sulla permeabilità estera dei nostri dati sensibili. Una alleanza strategica sull'energia con gli Stati Uniti, ridarebbe competitività ad una manifattura che paga gas ed elettricità il 70% più della Spagna. Insomma, alcuni degli sforzi che l'America chiede oggi a noi, sono gli stessi sforzi di cui noi stessi dovremmo renderci conto di aver bisogno.

Si dice che uomini duri e scelte che talvolta

possono apparire brusche, costruiscano tempi facili e prosperi, mentre uomini e scelte facili, al contrario, tempi duri e difficili. Forse il brusco richiamo del nostro alleato è il miglior antidoto al lento sonno dell'Europa.

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