Se i dazi nostri non fanno notizia

Il sospetto è che se i dazi alle nostre imprese le impongono le barriere comunitarie vanno bene, se li minaccia Trump diventano infernali

Se i dazi nostri non fanno notizia
00:00 00:00

Dazi e inflazione sono due malattie mortali dell'economia di mercato. Con i primi, uno Stato pensa di aiutare le aziende di casa, rendendo più cari i beni prodotti all'estero. Con l'inflazione si pensa di ingannare i cittadini facendo credere loro che, gonfiando prezzi e salari, loro siano più ricchi. Sono due illusioni ottiche, cancellate dalla storia dell'economia. Quando Trump pensa di risolvere i deficit commerciali degli americani imponendo una tariffa del 25% sulle importazioni di beni e servizi, come vuole fare con l'Europa che ha standard sociali simili agli Stati Uniti, commette dunque un errore. Ci perderanno tutti: gli americani pagheranno più cari i beni che comunque vorranno comprare e le imprese del Vecchio Continente produrranno meno.

Quella appena sintetizzata è una posizione tipica dei liberisti, di coloro che ritengono che il libero commercio renda tutti più ricchi. Stupisce dunque la reazione europea all'annuncio americano di imporre tariffe a partire da aprile. Tutti questi epigoni di Adam Smith o Luigi Einaudi, in quale buco si sono nascosti negli ultimi venti anni? Come ha ricordato solo poche settimane fa Mario Draghi, citando un recente studio del Fondo monetario internazionale, le barriere interne ai 27 Paesi della Ue equivalgono a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e una tassa del 110% sui servizi. Tanto che i 27 preferiscono commerciare con Paesi extra Ue. Insomma perché sono stati silenti fino ad ora? Il sospetto è che se i dazi alle nostre imprese le impongono le barriere comunitarie vanno bene, se li minaccia Trump diventano infernali. Ma non basta. Solo due giorni fa, guarda caso, la Commissione europea ha detto di volere attenuare gli effetti del CSRD e poi del CSDDD e ancora del CBDM. Questi fenomenali burocrati si inventano sigle per non parlare chiaro. Sono tre direttive che equivalgono a dazi e a costi in più per le imprese europee rispetto ai concorrenti. Con la prima obblighiamo a costosissime rendicontazioni finanziarie le nostre aziende, con la seconda pensiamo di controllare la qualità delle catene produttive e la terza è una vera e propria tassa sul 90 per cento degli importatori di merci. Il commissario Dombrovskis ha promesso di cancellarle (nonostante sia stato complice nell'introdurle) ammettendo che «sono obblighi di rendicontazione molto onerosi». Si calcola che la cancellazione della sola prima sigla valga più di 6 miliardi di costi in meno per le imprese europee.

La morale

di questa storia è molto semplice. Ci lamentiamo, con ottime ragioni, dei minacciati dazi di Trump, ma facciamo finta di non averne di peggiori in casa nostra: e che per di più li applichiamo alle sole imprese comunitarie.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica