Nel secondo dopoguerra non era mai accaduto prima d'ora che Germania e Francia, colonne portanti dell'edificio europeo, fossero investite contemporaneamente dalla crisi dei rispettivi sistemi politici. Le difficoltà della Germania originano dal fallimento politico del cancelliere Olaf Scholz. La coalizione da lui presieduta, formata da socialdemocratici, verdi e liberali, è succeduta alla lunga stagione di Angela Merkel. Il compito, certo, non era facile. A un anno esatto dalle prossime legislative, però, il consuntivo può definirsi deprimente: l'economia ristagna, la frattura con l'est del Paese si è riaperta e nelle elezioni parziali la maggioranza passa di sconfitta in sconfitta. La crisi potrebbe cambiare i connotati del sistema. La Germania, a causa della sua storia, ha risolto il conflitto tra forze del sistema e forze antisistema attraverso disposizioni di natura costituzionale. L'articolo 21 del Grundgesetz, infatti, mette fuori legge i partiti che, per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti, si prefiggono di attentare al regime democratico e liberale. Vieta, dunque, l'esistenza dei partiti che si rifanno alle ideologie protagoniste della guerra civile europea del Novecento. Questa stabilità originaria ha a lungo immunizzato il sistema tedesco dal virus del populismo. Gli anticorpi, però, non sembrano più efficaci. Le tranquille competizioni bipolari sono ormai un ricordo del passato. L'ascesa dell'Afd e dei cosiddetti rosso-bruni, piuttosto, fa immaginare un conflitto sempre più aspro tra le forze del sistema e quelle che, invece, il sistema lo vorrebbero abbattere. In questo schema, l'unico partito che, ad oggi, sembra in grado di poter sbarrare la strada ai «barbari» è la Cdu. La prognosi del sistema francese appare, se è possibile, ancora più seria. Il tentativo di Macron di frenare l'ascesa del Rassemblement National - partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella - è sfociato, di fatto, in una crisi di regime. La grande coalizione repubblicana, costituitasi al secondo turno delle ultime elezioni legislative, non è stata in grado di esprimere un governo. La politica è così entrata in stallo, perché il sistema non riesce più a funzionare né come presidenziale né come parlamentare. In questo quadro, l'incarico che Macron ha conferito a Barnier - gollista moderato ed europeista con grandi doti di mediatore - appare l'estremo tentativo di «costituzionalizzare» l'estrema destra, per poi ricomporre un quadro bipolare. Se dovesse fallire, la crisi si incarterebbe ancor di più. E le forze estreme, estranee alla tradizione della V Repubblica, prenderebbero definitivamente il sopravvento. L'Europa del dopoguerra è essenzialmente ruotata attorno all'asse franco-tedesco. Le crisi interne ai due Paesi rischiano di farlo collassare. E ciò avviene proprio nel momento in cui s'invocano riforme di struttura per consentire al Vecchio Continente di restare protagonista nel mondo che si annunzia. Tutto, dunque, induce al pessimismo; anche se la storia ci ha insegnato che l'Europa è riuscita ad esprimersi all'altezza delle sue ambizioni solo quando sollecitata da grandi difficoltà esterne. In questo scenario, l'Italia si propone in controtendenza. Tra i grandi Paesi, è certamente quello politicamente più stabile. E la sua situazione economica, pur sempre gravata da pesi atavici, non suscita, però, gli allarmi di recenti passati. Ne potrebbe approfittare. Sia per accrescere il proprio peso nella vicenda continentale, sia per stabilire importanti interlocuzioni in zone del mondo dove i suoi più accreditati concorrenti appaiono in difficoltà.
Per farlo, però, servono comportamenti e azioni tesi a diradare la cattiva cronaca che, da ultimo e sempre più spesso, inonda la quotidianità degli italiani. Solo così si riuscirà a scorgere la direzione della storia, per poi, magari, intervenire su di essa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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