Evola astratto e mistico oltre il futur-dadaismo

Nelle sue opere il pensiero esoterico prende forma e colori. E parla un linguaggio per iniziati

Evola astratto e mistico oltre il futur-dadaismo

Sono trascorsi più di cento anni da quando l'artista Giulio Cesare, detto Julius, Evola decise di abbandonare la pittura. E sono passati più di sessant'anni da quando alla Galleria La Medusa di Roma il compianto Enrico Crispolti organizzò la sua prima retrospettiva (...).

Oggi il «Catalogo ragionato» edito da Electa è uno strumento di conoscenza dedicatogli a cinquant'anni dalla scomparsa e dimostra come le ricerche a carattere storico e scientifico sull'itinerario dell'opera pittorica di Evola non siano ancora esaurite. Il suo stesso linguaggio espressivo documenta l'attraversamento e il superamento delle tematiche delle avanguardie artistiche del primo Novecento, sconfinando in una forma magica, esoterica e irrazionale della sperimentazione artistica.

I primi dipinti di Evola, realizzati tra il 1915 e il 1918, dotati di un vivace cromatismo, esprimono slancio vitale e dinamismo, possiedono la violenza di uno stile originalissimo rispetto ai canoni della pittura futurista tout court. Dopo la ricerca delle Linee di forza propugnata da Umberto Boccioni, a detta di Evola, i futuristi dovevano esprimersi mediante una «forma nuova» non-figurativa per raggiungere attraverso «forme e colori spirituali» il mondo interiore che l'artista portava dentro di sé e queste dovevano dar vita a «insiemi plastici, polifonici e poliritmici astratti», «cioè rispondenti non alle visioni ma alle sensazioni nate dai suoni, dai rumori, dagli odori, e da tutte le forze sconosciute» che avvolgono l'artista in maniera completa, totale.

Il giovane Evola si occupò in uno di filosofia, poesia e pittura e il suo tema fondamentale era il Futurismo. In seguito, in lui prese il sopravvento il mezzo espressivo disinteressato in uno stile definito «decorativismo astratto» che alla fine assunse una forma pittorica davvero nuova, l'«astrattismo mistico: ritmi illogici di linee e colori che in sé stessi hanno fine, e non esprimono perciò assolutamente nulla: che sono unicamente segni di una libertà interiore e di un profondo egoismo raggiunto».

Le opere futuriste e già astratte di Evola, assieme ad altre dal taglio figurativo o destinate a scenografie teatrali come le scene per il Pelléas et Mélisende di Maurice Maeterlinck, esposte anche a Stoccolma presso la galleria d'arte moderna Nya-Konst di Arturo Ciacelli, datate tra il 1915 e il 1918, erano state presentate alla prima mostra personale tenutasi alla Casa d'Arte Bragaglia nel gennaio del 1920. Evola inserì questi dipinti nella categoria delle Tendences d'idéalisme sensoriel: definizione eretica che codificava un'arte astraente fondata sull'intuizione in senso quasi trascendentale del processo artistico e che lo avrebbe portato alla rappresentazione di una ricerca interiore e simbolica al di là di ogni possibile contingenza con il reale, poi concretizzata nelle opere da lui indicate come appartenenti alle Tendences d'abstraitisme mystique, realizzate tra il 1918 e il 1921, violentemente astratte e dadaiste e concepite per superare e fare da contraltare a quelle futuriste.

La sua adesione al Dadaismo di Tristan Tzara nel 1920, nacque dalla convinzione che Dada fosse un «movimento limite», cogliendo in esso il tentativo radicale di svalutazione d'ogni forma d'arte, il nichilismo artistico che si ritrovava nella pittura non-figurativa, e la ricerca di una sorta di coscienza superiore che sarebbe poi culminata in opere dotate di una certa risonanza interiore al di là della loro implicita astrazione. In questo senso le linee, le lettere isolate, le formule matematiche, i simboli alchemici che si affacciano sulle tele e i colori dai toni rinvigorenti, non sono elementi denotativi che rimandano a immagini precostituite, ma puri significanti e mezzi che intendevano esprimere una Via: la ricerca motivata non solo dell'anima delle cose ma di un punto dello Spirito da cui poter partire per trascendere, per intraprendere il cammino dell'ascesi verso l'Assoluto. Questa via fu teorizzata nel 1920 in Arte astratta, primo libro in Italia a utilizzare l'aggettivo «astratto» per definire una forma di pittura non-figurativa. (...)

Tzara nutrì un particolare interesse nei confronti di Evola e nel 1920 lo inserì tra i 291 Presidenti e Presidentesse di diversa nazionalità nell'organigramma antigerarchico del movimento Dada. L'elenco fu riproposto a Colonia nel Katalog Dada Ausstellung-Dada Vorfrühling e apparve anche sulla madrilena «Cosmópolis» e, con il titolo Art Cover Authorization, fu ripreso da Marcel Duchamp e pubblicato in America sulla rivista da lui fondata con Man Ray, «New York Dada». In occasione del Secondo Congresso Mondiale Dadaista diretto da Walter Serner, il nostro fu riconosciuto quale massimo esponente del Dadaismo italiano.

Evola firmò anche il manifesto collettivo internazionale Dada soulève tout nel quale fu annunciata con uno sberleffo la fine del Futurismo: «Le Futurisme est mort. De quoi? De Dada», e in Messico il suo nome fu incluso nel Directorio de vanguardia, lista dei trecento massimi esponenti dell'arte d'avanguardia internazionale compilata dal fondatore dell'Estridentismo Manuel Maples Arce, e la sua partecipazione rientrò nel progetto di un'opera collettiva monumentale, l'almanacco mondiale del Dadaismo Dadaglobe, voluto da Tzara e mai realizzato.

Grazie ad Anton Giulio Bragaglia e a Enrico Prampolini, Evola conobbe il gallerista Herwarth Walden, fondatore della rivista d'arte d'avanguardia internazionale «Der Sturm», che lo coinvolse nel circuito d'esposizioni internazionali da lui organizzate che aveva l'epicentro in Germania e in Belgio. Nel gennaio del 1921 a Berlino, Evola partecipò con quarantaquattro opere all'esposizione Dreiundneunzigste Ausstellung assieme ai massimi esponenti della pittura espressionista tedesca, poi decise di smettere di dipingere. Nonostante la dichiarazione del suo «suicidio artistico», l'anno successivo, sempre grazie a Walden, alcuni dipinti di Evola furono presentati all'Internationale Expressionistische Kunstausstellung unter Beteiligung des Sturm tenutasi in Belgio, dal 21 al 23 gennaio del 1922, ad Antwerp in occasione del Tweede Congres voor Moderne Kunst (Secondo Congresso Internazionale dell'Arte Moderna). Quella fu la sua ultima adesione alle manifestazioni dell'arte d'avanguardia nel primo Novecento. Solo alla fine degli anni Cinquanta le sue opere riscoperte affascinarono artisti, critici e galleristi di fama internazionale come Albino Galvano, Joseph Jarema, Gian Enzo Sperone, Mara Coccia, Arturo Schwarz e Claudio Bruni, ma anche personalità del cinema e del mondo dello spettacolo come Cesare Zavattini, Vittorio Gassman e Federico Fellini.

Dopo l'esposizione e la vendita dei dipinti alla galleria romana La Medusa, per non avere le pareti di casa spoglie, Evola realizzò alcune copie delle sue opere e in più dipinse altre tele con soggetti nuovi, oltre a progettare alcune copertine dei suoi libri. Fu allora che Evola, ritrovato l'interesse per l'arte, riprodusse (si dice a memoria e grazie alle fotografie dei quadri scattate da Oscar Savio) delle opere futur-dadaiste intervenendo però sulla tela con pennellate dai colori accesi con l'intenzione di dare nuova luce ai simboli esoterici che in passato apparivano nei dipinti. Attraverso questa rinnovata forza cromatica, Evola confermò quanto la sua indagine artistica avesse sempre seguito un percorso che rimandava all'Ars regia, l'alchimia intesa come forma di realizzazione spirituale e orientata alla ricerca dell'Assoluto. In questo periodo dipinse anche opere vicine agli stilemi dell'Arte psichedelica, nelle quali, come in un incantesimo, comparivano mondi fantastici, paesaggi immaginari, visioni cosmiche e figure femminili erotizzanti connesse alle ricerche da lui stesso condotte riguardo l'Eros e la Metafisica del sesso.

L'arte di Evola si è costituita attorno a spazi e soggetti astratti, poi a paesaggi interiori volti ad aprire in maniera enigmatica una nuova via all'arte oltre ogni limite. Quando Evola ritrovò la forza di dipingere, lo fece per ridare respiro all'idea di essere artista dell'Assoluto.

Intrisa di rimandi a dimensioni superiori e astratte, dal punto di vista esistenziale, l'opera pittorica di Evola rappresenta la ricerca di un'apertura a una non umana trascendenza, perché, come ammetteva lui stesso l'«arte è un'altra cosa».

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