Ex Sahara spagnolo un conflitto aperto da più di 40 anni

Gli accordi internazionali prevedono un referendum per l'indipendenza che non si è mai svolto. Il Marocco, grazie a Trump, si è annesso la terra

Ex Sahara spagnolo un conflitto aperto da più di 40 anni

C'è un conflitto dimenticato ai margini del Sahara e rischia di riaccendersi. A combatterlo non sono gruppi estremisti o fazioni religiose, ma un esercito senza terra e un regno in cerca risorse: gli uomini del Fronte Polisario e il Marocco. Il terreno conteso è il Sahara occidentale, ex colonia spagnola stretta tra l'Atlantico e il deserto. Abbandonata dalle truppe di Madrid nel 1975, da allora ha visto fronteggiarsi il governo di Rabat e i rappresentanti del popolo Saharawi circa 500mila persone che aspirerebbero a vedere riconosciuto il loro Stato, la Repubblica Araba Democratica dei Saharawi, proclamata nel 1976. Fino all'inizio degli anni Novanta ci sono stati continui scontri tra i soldati del Fronte Polisario, il movimento di liberazione nazionale del Sahara Occidentale che da oltre 40 anni guida la resistenza (con l'appoggio dell'Algeria) e i militari marocchini che, a seguito della Marcia Verde di oltre 350mila civili, occuparono l'ex Sahara Spagnolo, controllano la zona. I confronti armati sono andati avanti fino al cessate il fuoco firmato dalle due parti sotto l'egida delle Nazioni Unite nel 1991.

Secondo la risoluzione 690 dell'Onu, oggi il Sahara Occidentale è un territorio non autonomo per cui deve essere celebrato un Referendum sull'autodeterminazione, la cui data inizialmente era previsto per il 1992 è sempre stata rinviata perché le due parti non si accordano su chi tra i residenti e gli sfollati nei campi algerini abbia effettivamente diritto al voto. Nel mentre sulla zona vigila un centinaio di Caschi blu Onu della missione Minurso che si occupano di evitare scontri tra le due parti lungo il gigantesco muro di sabbia che il Marocco ha fatto erigere nell'area sotto il suo controllo (circa l'80% del Paese) per tenere lontano gli uomini del Fronte Polisario. Per anni non ci sono più stati seri scontri. Gli esponenti del Fronte confinati nei campi profughi di Tindouf, nel sud-ovest dell'Algeria dove vivono circa 170mila Saharawi, e i marocchini a vigilare su quella che considerano la loro provincia meridionale. Un territorio dove negli anni sono arrivate migliaia di coloni marocchini, una terra di cui sfruttano i ricchi giacimenti di fosfati che rappresentano la principale risorsa.

Le tregua ha retto fino allo scorso 13 novembre, quando militari marocchini e Saharawi si sono sparati per un'intera giornata. Ognuno dichiara che ad attaccare per primi sono stati gli altri e la risposta è stata solo legittima difesa, fatto sta che per la prima volta dal 1991 c'è stato un contatto tra le parti. Oggetto del contendere la zona demilitarizzata al confine con la Mauritania occupata a metà ottobre da una cinquantina di civili Saharawi. Persone che si erano istallate sul passo di Guerguerat con auto e tende, di fatto bloccando l'unica via di comunicazione commerciale tra il Marocco e il resto dell'Africa. Via da cui transitano le verdure marocchine dirette a sud e il pesce pescato in Mauritania e Senegal che fa la rotta inversa: circa 200 Tir al giorno. Formalmente protestavano perché a loro dire la strada è stata aperta illegalmente sulla zona demilitarizzata. Secondo gli analisti si è trattato di una mossa del Fronte Polisario per aumentare l'attenzione sul conflitto in vista del rinnovo della missione Minurso in calendario nei mesi scorsi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Missione che è stata rinnovata come sempre, senza però che come sempre sia stata fissata una data per il referendum. Poiché la dimostrazione dei civili Saharawi non rientrava, Rabat ha sentito la necessità di ristabilire la libera circolazione sloggiando con la forza i civili Saharawi in cui soccorso sono arrivati gli esponenti del Fronte Polisario. Da qui gli scontri che si sono propagati in altri punti del muro che divide le due fazioni, e hanno portato a manifestazioni di sostegno dell'indipendenza nei territori occupati.

Come se non bastasse, a ravvivare la situazione ci si era messo Donald Trump. Lo scorso novembre aveva riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale, annunciandolo con il solito tweet in cui anticipava di «aver firmato il riconoscimento della sovranità marocchina sulla regione. Una proposta di autonomia seria, credibile e realista, la unica base per una soluzione duratura del conflitto». La mossa dell'ex Presidente americano è stata la merce di scambio affinché il regno marocchino stabilisse relazioni diplomatiche con Israele, così come avevano fatto nelle settimane precedenti anche gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Gli Stati Uniti così diventano il primo e per il momento unico Paese occidentale a riconoscere i diritti di Rabat sulla ex colonia spagnola. Ora la palla passa a Biden, che dovrà decidere se cancellare la misura o tenerla. Al momento la scelta dell'amministrazione Usa di fatto cancella l'opzione del Referendum sull'autodeterminazione.

Gli indipendentisti Saharawi hanno fatto sapere tramite un comunicato del Ministro della Comunicazione in esilio che «la decisione è un palese violazione delle risoluzioni Onu e del diritto internazionale. Per cui non cambia di una virgola la situazione giuridica della questione Saharawi, giacché la comunità internazionale non riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale». Posizione ribadita anche dalla ex potenza coloniale, la Spagna, che pur salutando con favore la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Marocco e Israele, per bocca del suo ministro degli Esteri, Arancha González Laya, ha specificato «che per la questione del Sahara Occidentale bisogna rispettare le decisioni delle Nazioni Unite».

Nel frattempo gli Stati Uniti, come stanno facendo diversi stati africani negli ultimi mesi, apriranno un consolato nella città di Dakhla, sulla costa atlantica del Sahara Occidentale.

Uno degli ultimi atti dell'ex sottosegretario di Stato americano agli esteri, David Schenker, è stato quello di visitare la città per trovare una sede adatta. Un ulteriore riconoscimento de facto della sovranità marocchina sulla zona. Almeno fino a quando le armi non torneranno a sparare.

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