Un pieno di idrogeno

Fa muovere i sommergibili della Marina, ma anche auto e treni. E ora a puntare sulla nuova energia verde è il "Recovery Plan" europeo

Un pieno di idrogeno

Viene (anche) dall'acqua, sta nelle stelle, soprattutto nel Sole, ma si ricava anche dal vento e dalle viscere della terra. È un gas, ma non disdegna lo stato liquido, lo chiamano «Internet dell'energia» e, dopo qualche falsa partenza, è al centro di previsioni degli esperti e dei progetti di molte aziende perché potrebbe divenire il cardine del nostro futuro più ecosostenibile. Ecco l'idrogeno, in una, o due parole greche, se preferite: «idro» come acqua, «gen» come generare.

Non è una fonte diretta, ma un vettore di energia: va prodotto o estratto e allora sì, che diviene un «taxi» di potenza super pulita che si può anche stoccare e rilasciare in seguito quando serve.

In questo scorcio di autunno e di ripartenza è lui il sacro graal, l'elisir, la soluzione. Tutti lo cercano, pochi lo producono, ancora in meno lo utilizzano già. Eppure potrebbe dare un impulso decisivo a decarbonizzare il mondo, rendendoci se non più buoni, almeno più puliti. Per far felice Greta, certamente, ma soprattutto l'intero pianeta. L'idrogeno non è stato scoperto ieri bensì nel 1783 -, ma, lento pede, in queste settimane, il dibattito sulle sue potenzialità è salito alla ribalta di tutti i media, «Uscendo dai laboratori accademici e dalle sperimentazioni più o meno pionieristiche e dimostrative che toccano le sue tre principali macroaree di utilizzo, dall'industria pesante, ai trasporti, fino alla fornitura capillare di energia e calore», spiega Stefano Campanari del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano.

OPPORTUNITÀ QUI E ORA

Il motivo? Il mondo è pronto o vuole esserlo, ce lo chiede, con antico mantra, l'Europa, e stavolta l'Italia non vuole restare indietro, come è accaduto svariate volte, ormai nel secolo scorso, con elettronica, nucleare, pannelli solari o fotovoltaico, solo per citare alcuni casi in cui il Belpaese avrebbe potuto giocare da leader e, invece, non ha ritenuto prioritari gli investimenti. Complice all'orizzonte il Recovery Plan che mette sul piatto ottimi propositi e generosi contributi, Carpe diem!, che si colga l'attimo. Basta errori, stavolta il treno meglio se ad idrogeno - non va perso. Il passo che serve è rendere competitivi, abbassandoli, i costi di produzione e potenziare la filiera di estrazione per fare dell'idrogeno una concreta alternativa green.

Era il 10 marzo 2020: in Italia si vivevano le prime 48 ore di lockdown, ma in Europa c'era ancora aria di futuro e si innescava la propulsione giusta con il lancio, da parte della Commissione di Bruxelles, del progetto ECH2A - European Clean Hydrogen Alliance che, nel suo assetto definitivo, presentato post virus a luglio, mette insieme enti pubblici e privati, associazioni di imprese e cittadini, per definire le priorità dei prossimi anni su promozione e sviluppo dell'idrogeno.

Mentre un non inedito asse franco-tedesco metteva sul campo investimenti per 16 miliardi, entravano a far parte del progetto sia la Bei Banca europea per gli investimenti sia leader politici, sia multinazionali di gas industriali ed ingegneria come Linde, ma anche, le italiane Snam, Eni, Fincantieri e Sapio, solo per citare qualche big del settore.

Ognuno ha fatto i conti e ci sono almeno due scenari possibili, entrambi virtuosi: potenziare la filiera significa accelerare ricchezza e sostenibilità. Tradotto in cifre per l'Italia del 2050 l'idrogeno potrebbe valere fra i 22 e i 37 miliardi di Pil aggiuntivo con un valore cumulato della produzione, fra il 2020 e il 2050, che oscillerebbe fra 890 e 1500 miliardi. L'incremento di posti di lavoro si assesta fra i 320 e i 540mila a fronte di un suo utilizzo al 23% nei consumi finali che vale anche un bel taglio di emissioni nocive del 28%.

Poche settimane fa, anche Confindustria ha aderito all'alleanza europea, nominando rappresentante per il Belpaese Aurelio Regina. Intanto sul Lario, nel tradizionale Forum di Cernobbio di inizio settembre, The European House Ambrosetti e Snam hanno messo nero su bianco desiderata e linee guide. Il documento si chiama H2 Italy 2050 e i suoi numeri sono già una bella dichiarazione di intenti: in 30 anni si deve cambiare passo. Nel 2000 il prezzo dell'idrogeno prodotto da rinnovabili (il più green e per ora meno disponibile ndr) era 40 volte superiore a quello del petrolio: «Oggi, invece, stimiamo che nel giro di 5 anni possa diventare competitivo rispetto ad altri combustibili e soddisfare, entro il 2050, circa un quarto della domanda di energia italiana», spiega Marco Alverà, Ad di Snam. Considerando, poi, che trasporto e stoccaggio di questo oro «blu» hanno molte similitudini con il gas naturale, l'Italia sarebbe un passo avanti, grazie alla sua estesa rete di distribuzione.

Sull'idrogeno, però, non servono tante politiche nazionali diverse, semmai una visione strategica condivisa con l'obiettivo di fare dell'Italia e del Mediterraneo un vero hub, uno snodo fra il Nord Africa, dove grazie all'energia solare si potrebbe produrre idrogeno a costi inferiori del 15% rispetto al resto del vecchio continente. Un ponte fra Europa e Africa permetterebbe, almeno in parte, di affrancarsi dalle più tradizionali rotte di approvvigionamento di gas e idrocarburi che per ora, fra Turchia e Medio Oriente, portano ad est, a territori e scenari talvolta ancora più complessi.

COSTI IN CALO

Il progetto punta ad ampliare la produzione di idrogeno attraverso progressive pratiche sempre più ecosostenibili. «Lo sfruttamento delle più moderne tecnologie di estrazione garantirà all'Italia un recupero di competitività e un balzo in avanti negli obiettivi di decarbonizzazione, garantendo benefici in termini di Pil, produzione e posti di lavoro», ha spiegato Valerio De Molli, Ceo di The European House Ambrosetti. Sì, perché l'idrogeno va prodotto e per produrlo oggi si utilizzano ancora, in maggioranza combustibili fossili: serve cioè energia per produrre altra energia. Ad oggi la produzione rilascia anidride carbonica che poi va smaltita o riassorbita. A questo metodo di estrazione «grigia» però si affiancano procedimenti già noti e meno impattanti a cui questo new deal tende, dal blue hydrogen, a quello green, il più virtuoso, senza sostanziali emissioni.

«L'idrogeno può essere il migliore alleato dell'elettricità rinnovabile per consentire all'Italia di essere protagonista nella lotta globale ai cambiamenti climatici e al tempo stesso di promuovere nuove opportunità di sviluppo e occupazione», ha affermato Marco Alverà, Ad di Snam. Nel suo impegno per la transizione energetica Snam non ha perso tempo e messo sul campo 1,4 miliardi di investimenti al 2023 per il solo idrogeno, creando una business unit ad hoc per rendere, da una parte, le infrastrutture già esistenti idonee al suo trasporto e, dall'altra, per fortificare alleanze industriali e tecnologie. Grazie a metanodotti che al 70% sono già «hydrogen ready», nella rete Snam, leader in Italia, l'idrogeno ha già viaggiato al 5 e 10%, insieme al gas naturale, per rifornire un pastificio e una ditta di imbottigliamento: è successo a Contursi Terme, in provincia di Salerno. La news è finita in prima pagina sul New York Times. Pochi mesi fa, invece, Snam ha gestito il «pressure test» per la prima turbina ibrida al mondo, prodotta da Baker Hughes: è alimentata fino al 10% ad idrogeno e sarà installata nel 2021 nell'impianto di Istrana, a Treviso.

«Immettere nelle nostre reti il 10% di idrogeno sul totale del gas trasportato annualmente, equivarrebbe a 7 miliardi di metri cubi di energia, che rappresentano il consumo di 3 milioni di famiglie, con una riduzione di emissioni di anidride carbonica di 5 milioni di tonnellate», aggiunge Alverà. Anche per questo gli scienziati per una volta sono concordi: «L'idrogeno è la soluzione definitiva per avere energia pulita».

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