Il fantasma di Paolino agita l’Ariston

Il putiferio scatenato dall'apertura di Del Noce. Il manager Presta sprezzante con Superpippo sull’ipotesi Bonolis: "Figuratevi se rispondiamo a un settantenne"

Il fantasma di Paolino agita l’Ariston

Sanremo - Il senso della vita, a volte, può non avere affatto un senso. Per esempio Paolo Bonolis che ritorna a Sanremo, dico alla voce festival della canzone. Se ne parla, Del Noce non smentisce, anzi «Ribadisco la mia stima per Bonolis che ha ancora un anno di contratto con Mediaset». Urbani, consigliere di amministrazione Rai, non lo esclude, anzi: «Perché no? Sanremo deve rispondere a una logica di mercato, quindi cambiare ogni anno, altrimenti rischia di ossificarsi e quindi bisogna vivacizzarlo e risollevarne la credibilità. Mi pare, da questo punto di vista, che vadano bene sia Paolo Bonolis, sia Pippo Baudo e che il festival farà notizia anche se ci sarà Bonolis».

E Baudo, il re nudo? Il separato in casa? Meglio stare alla larga: «Bonolis, il de cuius?» (hereditate agitur), si potrebbe aggiungere a fine testamento. Viene fuori il duello all’ultimo presentatore. Bonolis manda avanti il suo press agent, che sarebbe poi Lucio Presta, procuratore impresario di varie personalità. Presta sbuffa, come gli capita di solito, accerchiato da mille domande sullo stesso argomento: «Figuratevi se rispondiamo a un settantenne». In verità anche il gruppo Bonolis registra alcune figure datate e illustri ma si vede che anche l’anagrafe può non avere un senso, come il festival.
Bonolis a Sanremo ha comunque lasciato traccia. Non soltanto per gli ascolti, clamorosi, proporzionali al salario multimilionario del Paolo leader, ma anche per alcune scenette che sono rimaste nella storia della televisione. L’intervista con Myke Tyson, venuto in riviera per un pugno (dei suoi) di dollari e coccolato da Bonolis, fa ancora il giro dei bar. Bonolis arrivò al punto di definire il pugile stupratore: «una bella persona», per poi zittire con asprezza uno spettatore dell’Ariston che aveva osato contestarne l’immagine improbabilmente dolciastra.

Venne ospite anche Hugh Grant per il quale fu allestito un quadretto di stile english, tavolino, teiera, aria silenziosa da club esclusivo del tea-time, come se mister Grant fosse un distinto signore della city, bombetta, ombrello Briggs e Times nella tasca del covercoat e non invece un altro galantuomo beccato dalla polizia di Los Angeles e portato al gabbio. Nemmeno il decoder, digitale o satellitare, riuscì a decifrare il dialogo, anzi il monologo, parlò soltanto Bonolis mentre mister Hugh annuiva, con sguardo trasognato (!), forse contando gli euro intascati dalla prestazione, non quella di Los Angeles.
Bonolis si giustificò, nel day after, attingendo al suo Devoto Oli: «non sono esperto di tassidermia» e mezza sala stampa, terrorizzata, andò a consultare dizionari e internet, per restare poi imbalsamata pure issa, come il Grant della sera prima.

Ma il fantasma si aggira tra i caruggi sanremesi, nei corridoi di viale Mazzini, come accade tra le nuvole del paradiso nello spot pubblicitario. Pronto a spogliarsi del lenzuolo e ad apparire davanti a Pippo Baudo. Rai, di tutto, di più. O no?

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