Fassino e il compagno Marchionne

Fassino e il compagno Marchionne

Alcuni giorni fa Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha fatto una relazione a un convegno della rivista L’Impresa. Si è occupato di capitalismo, di mercato, svolgendo alcuni ragionamenti al di fuori del mercato automobilistico e sulla società nel suo complesso. Discorso per lunga parte condivisibile.
Piero Fassino, l’altro ieri, ha dichiarato che Marchionne è un alleato naturale perché parla da socialdemocratico. La cosa non ci turba più di tanto perché, come tutti ricorderanno, questi signori del centrosinistra già in campagna elettorale andarono un po’ dappertutto dicendo che tutti erano potenziali alleati. Il massimo fu raggiunto da Romano Prodi al convegno della Cgil dove sostenne che il loro programma era uguale al suo. Peccato che questa cosa poi la ripeté anche di fronte ad alcune categorie produttive. D’altra parte, nello sbandamento generale, quando vedono emergere qualcosa di buono (cioè di cui i giornali parlano bene), si accodano. Anzi, vorrebbero che questi interlocutori si accodassero a loro.
Lasciamo perdere queste tristezze e occupiamoci di Marchionne. L’amministratore delegato della prima casa automobilistica italiana, dopo aver affermato che non esiste un unico modello di capitalismo, ha sostenuto che lui preferisce quello europeo, perché la responsabilità sociale differenzia questo modello da quello statunitense. Poco dopo, Marchionne si è occupato del fatto che gli investimenti esteri non arrivano in Italia ed ha indicato tra le ragioni di questo fenomeno la burocrazia, i servizi, le infrastrutture, le tasse e i costi di gestione. Tutti questi sarebbero fattori che, assieme ad esempio al costo dell’energia, rendono l’Italia un Paese che ha difficoltà a stare nei mercati dei Paesi più industrializzati in modo competitivo. Vorremmo far notare che tutte quelle cose che Marchionne ricorda sono, alla rovescia, tra i motivi per i quali il modello americano «funziona» più di quello europeo. E allora difendiamo pure la responsabilità sociale che caratterizza il modello europeo (che in Italia per tanti anni si è chiamato assistenzialismo), ma è ben difficile avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Siamo grati a Marchionne per aver finalmente saputo, con gran destrezza, rilanciare la Fiat. Tra l’altro lo ha fatto nel momento in cui la Fiat si è trovata all’asciutto quanto ad aiuti statali. Soldi non ce n’erano più e quelli che c’erano non potevano essere destinati alla Fiat perché le regole sulla concorrenza europea non lo consentivano. Per tanti anni la Fiat è andata avanti con quella responsabilità sociale per la quale occorreva sempre salvare tutto e a ogni costo. Marchionne ha operato senza l’aiuto della responsabilità sociale. Complimenti.
Per quanto riguarda Piero Fassino abbiamo già sostanzialmente detto. Vorremmo fargli notare che la socialdemocrazia dal punto di vista dello sviluppo economico, dei rapporti Stato-mercato, nonché della spesa sociale in rapporto al debito pubblico è un modello almeno discutibile. Tra l’altro Marchionne ha parlato di società liberale, cosa che non è esattamente nelle corde di un socialdemocratico. Ma evidentemente tutto fa brodo. Vorremmo solo far rilevare che non c’è autore liberale o liberista che si voglia che non abbia sostenuto, von Hayek in testa, che la Grande Società, quella liberale, non dovesse occuparsi anche dei soggetti deboli. Anzi, proprio il filosofo austriaco sostenne che una società non poteva dirsi grande se non si fosse occupata dei soggetti deboli. Lo stesso disse anche Luigi Einaudi, altro autore liberista, nato dalle parti dove è nato il segretario dei Ds.

In altre parole, non occorre andare a cercare alcun modello socialdemocratico per mettere insieme la società liberale e i soggetti deboli. C’è già tutto nel patrimonio liberale. Ma quando si va un tanto al chilo queste «sottigliezze» possono sfuggire.

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