La matematica non è il loro mestiere. Ogni volta che ci provano, c’è sempre un cifra che scappa, un conto sbagliato. Questa volta la virgola si chiama Rutelli. Doveva stare con loro e invece cincischia con Berlusconi. E per due ragionieri della politica come Casini e Fini questo è davvero un fatto grave. Quando si sono messi in fila di attesa per aspettare che passasse il dopo Berlusconi, Pier Ferdinando aveva i capelli brizzolati e Gianfranco li aveva ancora neri. Adesso Casini li ha bianchi e Fini brizzolati: stanno invecchiando senza riuscire nemmeno a vedere l’obiettivo. Nel 2005 provarono a far fuori il Cavaliere senza arabeschi e sofismi, in modo quasi onesto. Andò a finire che Berlusconi li perdonò e gli concesse un bis. E ora siamo al tris. C’è qualcosa di letterario in questa eterna e fallimentare incompiutezza, nella parabola dei due alleati che tramano ma non riescono a prendere il posto del loro capo. Casini tenne impegnato tre anni Berlusconi con il suo tira e molla e alla fine fu sbattuto fuori dalla coalizione. Per un mese andò a raccontare in tutte le piazze d’Italia che lui voleva restare nel centrodestra con il suo simbolo e il suo partito. Come sia andata a finire si sa.
Non è certo una provocazione, quindi, quella di Vittorio Feltri che su questo giornale ha suggerito al Cavaliere un inedito apparentamento con Francesco Rutelli e di lasciar perdere Casini. E’ certo che su Pier Ferdinando Casini si potrebbe fare un trattato. Ha preso il suo migliore amico, con cui ha diviso la propria giovinezza politica, Marco Follini, e gli ha affidato il partito. Poi l’ha sbattuto fuori perché non serviva più. In tempi più recenti con lungimirante sagacia, ha concesso un’intervista solenne a La Stampa: «Serve un fronte unico di opposizione a Berlusconi». Il giorno dopo, quando il Cavaliere è stato colpito dall’agguato di Tartaglia, il fronte unico è scomparso nel ridicolo. Casini voleva che tenesse insieme tutti: da Vendola a Di Pietro, e se non si fosse trattato di una bufala si sarebbe trovato nella stessa coalizione con l’ex pm che proprio quel giorno dileggiava Berlusconi sostenendo che se l’era meritata.
Ma il meglio Casini l’ha dato negli ultimi giorni: ha detto che vuole tenere la barra diritta al centro e infatti nelle Marche si è alleato anche con Rifondazione. Ha spiegato che la discriminante sono i valori cattolici e infatti in Piemonte, per qualche poltrona in più, appoggia la candidatura della più laicista dei governatori. Il centro è il suo Dio, ma lo ripudia in tutte le regioni e pendola come un rabdomante alla ricerca dell’acqua, disinteressandosi di qualunque programma, preoccupato unicamente di chiudere l’alleanza all’ultimo momento utile con il candidato che vincerà. Sprinter senza coraggio si è improvvisato succhiaruote. Un pericoloso esercizio di equilibrismo che viene spacciato come virtuoso esercizio morale. Ma il suo partito è questo. Di fatto l’Udc non esiste, è una consociata dell’impero di Francesco Gaetano Caltagirone, che si dedica a una grottesca riedizione del «doppiofornismo» di craxiana memoria. Ma almeno Craxi era vincente, mentre lui in Puglia sembra arenato e incapace di segnare il punto.
Quanto a Fini, salutò la fondazione del Pdl, di cui secondo Granata e Bocchino sarebbe un padre fondatore imprescindibile, con un proclama che era tutto un programma: «Siamo alle comiche finali». Oggi si atteggia a padre della Patria ma non è riuscito a far altro che contestare la propria maggioranza mettendo una compagnia di giro di piccoli vietcong del dissenso, l’ex ciclostilatrice dei campi hobbit, l’ex assessore della Magna Grecia, la brutta copia di Tatarella. Ha firmato la più severa legge sull’immigrazione e ora predica la società multietnica. Si è fatto eleggere con i voti dei repubblichini e adesso discetta sull’antifascismo, lui che si ritrovò ad Auschwitz con una comitiva che raccontava ancora barzellette sugli ebrei: «Lo sai che mio nonno stava qui? Sì, era sulla torretta».
Il destino di Pier Ferdinando e Gianfranco è quello di essere due secondi che neppure serviti insieme faranno mai un primo.
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