Mentre il ministro della Sanità Livia Turco, dopo qualche esitazione iniziale, ha deciso di sbilanciarsi audacemente in favore della pillola abortiva, i politici piemontesi cominciano a prendere le distanze dalla sperimentazione della Ru486, in atto da quasi un anno a Torino. Ieri la Stampa annunciava il blocco dell'uso della pillola intimato all'ospedale Sant'Anna dall'assessorato alla Sanità della regione Piemonte, a causa di irregolarità definite formali. Nel Comitato etico e nel consiglio regionale serpeggia probabilmente una comprensibile inquietudine dovuta all'inchiesta della Procura: i politici cominciano cautamente a smarcarsi, ed evitano di compromettersi troppo a fondo con chi della sperimentazione ha fatto una bandiera ideologica, come Silvio Viale, ginecologo e militante radicale.
Oggi l'assessore alla Sanità, Mario Valpreda, corregge il tiro, e cerca diplomaticamente di minimizzare: la sospensione non è ancora stata decisa, il Comitato etico ne sta valutando l'opportunità, e in ogni caso «si tratta di aspetti esclusivamente procedurali». L'affermazione rassicurante maschera un profondo imbarazzo, perché le violazioni «procedurali» riguardano la sostanza del protocollo concordato tra il Sant'Anna e il Ministero della Salute, cioè il ricovero ospedaliero delle donne. È questo il vero punto di frizione politico e medico sull'aborto chimico: la legge 194 sull'interruzione di gravidanza impone che l'aborto avvenga all'interno delle strutture pubbliche, ma con la pillola abortiva è impossibile essere certi che questo accada. In tutti i paesi dove la Ru486 è diffusa, l'aborto avviene a domicilio, al di fuori delle strutture ospedaliere, pubbliche o private che siano. Con la pillola (anzi le pillole, perché si tratta di farmaci diversi, da assumere in sequenza) lo svuotamento dell'utero avviene lentamente, e l'intero percorso può durare fino a due mesi; anche i 3 giorni di ricovero imposti dal protocollo della sperimentazione non sono sempre sufficienti a coprire i tempi reali dell'aborto chimico. È la donna che, a casa, da sola, deve controllare se l'espulsione dell'embrione è avvenuta, lei che deve capire quando i normali effetti collaterali del farmaco, come i dolorosi crampi addominali o il vomito, diventano eccessivi e rischiosi, o quando le perdite di sangue si stanno trasformando in una vera e propria emorragia. Questa labilità del controllo medico è uno dei motivi per cui il metodo chimico ha un così alto tasso di eventi avversi e complicanze, e una percentuale di mortalità 10 volte più alta di quello chirurgico. Le complicazioni possono verificarsi in qualsiasi momento della lunga procedura abortiva, dal primo giorno fino a un mese dopo. Nonostante il basso numero di aborti chimici finora realizzati in Italia, il primo incidente si è già verificato: una donna che aveva assunto la pillola abortiva a Siena, è stata ricoverata tre giorni dopo per una grave emorragia in un ospedale romano.
Questi sono gli effetti delle irregolarità «puramente procedurali» di cui parla l'assessore Valpreda.
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