Frattini: "Tra un anno impronte digitali per chi entra in Europa"

Il nuovo ministro degli Esteri del governo Berlusconi delinea la politica sull'immigrazione

Frattini: "Tra un anno impronte digitali per chi entra in Europa"

Lima - Rivedere Schengen? È già in calendario. Dalla fine del 2009, nella Ue si entrerà solo dopo aver depositato le impronte digitali, ci saranno pattugliamenti comunitari nel Mediterraneo, e con ogni probabilità si vareranno nuovi provvedimenti tesi a frenare la corsa al vecchio continente che è partita da anni e si intensifica oggi da Sud e da Est. Franco Frattini è abbastanza sicuro del cambio di marcia. Un po’ perché lo aveva messo a punto lui a Bruxelles nella sua veste di commissario a Libertà, Giustizia e Sicurezza, un po’ perché sa bene che sul tema si ritrovano ormai assieme Berlusconi e Sarkozy, Merkel e Brown e persino Zapatero.

Paradossalmente l’Italia del Cavaliere che si dipingeva come euroscettica, si ripresenta sul palcoscenico comunitario nei panni di chi crede occorra fare nuovi accordi, tutti assieme, per battere lo stato di appannamento che il vecchio continente sta vivendo. Lo dice Tremonti e lo sostiene anche il ministro degli Esteri che, in volo verso il Perù - dove sostituisce Berlusconi al quinto vertice tra capi di Stato della Ue e del Sudamerica che si è aperto ieri mattina - fa capire che i nodi sono al pettine e che la possibilità di scioglierli, c’è tutta.

«Per la fine di questo 2008 - annuncia Frattini - avremo l’analisi sugli accordi di Schengen: una sorta di tagliando a quel che è stato nei suoi 22 anni di vita. All’inizio fu tutto facile. C’era ancora il muro, eravamo pochi Paesi... Adesso il problema è verificare la tenuta delle frontiere esterne perché non possiamo nasconderci che il problema numero uno è divenuto la sicurezza».

Che si ottiene... in che modo?
«Con Schengen-2 in calendario per la fine del 2009. Impronte digitali per chi vuol fare ingresso nella Ue da inserire in un grande sistema informatico così che in ogni Paese le forze dell’ordine possano collegarsi e sapere in pochi attimi chi è la persona che hanno fermato e se è in regola o meno. Poi, naturalmente, vanno cercate nuove intese coi Paesi da cui provengono o con Stati di passaggio come la Libia. C’è ad esempio da smuovere Bruxelles che aveva promesso a Gheddafi fondi speciali per il pattugliamento del deserto. Noi italiani stiamo intanto addestrando il personale di alcune vedette che serviranno alla Marina libica per controllare le sue coste e altro ancora si può fare».

È chiusa allora la querelle avviata dal figlio del colonnello?
«Credo di sì. Tripoli insiste per qualche compensazione in più di quel che si è definito, ha il problema dell’autostrada che vorrebbe, ma ci sono aziende italiane, Eni in testa, pronte a investire nuovamente. Se mi piacerebbe una visita di Gheddafi a Roma? Certo che sì, magari con l’individuazione di un luogo importante per la sua tenda... Ma mi piacerebbe anche andare presto a Tripoli, meglio se assieme a Maroni, per definire la linea anti-clandestini, magari prima della fine del mese, quando partirà l’operazione Nautilus 3, con navi Ue a ridosso delle acque territoriali libiche per controllarle».

Intanto sono comunitari parecchi di quelli che delinquono, specie da noi. Per quelli che si fa?
«In primo luogo si recepiscono le norme Ue, come quella che prevede l’espulsione in caso di mancanza di reddito. Poi si cerca di rafforzare la collaborazione bilaterale con i Paesi di provenienza. Prendiamo il caso dei romeni: dove sono le pattuglie miste di cui aveva parlato il precedente governo? Dove e quando si è realizzato il rimpatrio di chi ha commesso un reato? Lo dico perché forse pochi sanno che a Bucarest c’è una legge che, a coloro che hanno commesso delitti in altri Paesi Ue, vieta di tornare all’estero e li sottopone a forti limiti di circolazione. Ancora, si tratta di anticipare quello che la commissione Barroso ha già in programma di varare a giugno sulla materia, il rimpatrio dei clandestini di cui si è individuata la provenienza e il fermo fino a 18 mesi di chi non declina le sue generalità. Che poi è perfino poco rispetto ai tempi illimitati decisi dalla democraticissima Svezia o dalla Danimarca o la Gran Bretagna...».

E il reato di immigrazione clandestina, si farà o no?
«Può essere vantaggioso farlo come misura di deterrenza, ma rischiamo di affollare le carceri. Non sono contrario in via di principio, ma occorre discuterne. E naturalmente non utilizzare la via del decreto».

Torniamo ai romeni, anzi ai rom: come controllare e organizzare le loro presenze in Italia?
«Il primo provvedimento che credo si debba prendere è la scolarizzazione obbligatoria dei minori. Basta col buonismo che li fa ritornare in strada a mendicare per volontà dei genitori: o vanno a scuola o si interrompe la patria potestà. Poi ci sono da utilizzare fondi Ue destinati proprio all’integrazione dei rom. Pensate che la Spagna ha avuto negli ultimi anni 60 milioni di euro proprio a questo scopo. Noi non abbiamo chiesto nulla. Per cui credo che avanzeremo su questo percorso, magari per destinare parte di queste cifre alle intese che nel frattempo possono essere varate da enti locali.

Milano, ad esempio, vuole stringere accordi con comuni romeni in modo da creare sviluppo e da far tornare i rom a casa. Da fare c’è molto. Ma le idee non mancano e sono ormai comuni a tutta l’Europa; l’importante è non fermarsi alle enunciazioni».

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