
Un passo falso clamoroso, e doloroso. Ora, dopo aver visto le immagini della senatrice Liliana Segre in piazza Scala, lo avrà forse capito anche lui, Beppe Sala. Il «no» che, da sindaco, ha riservato alla richiesta di illuminare Palazzo Marino per ricordare i fratellini Bibas, rapiti e uccisi a Gaza da una banda di terroristi, adesso anche ai suoi occhi apparirà per quello che è: un abbaglio, non solo politico.
«Sei la guida più importante per Milano», aveva detto il sindaco, rivolto alla Segre, il 7 ottobre, nella sinagoga di via Guastalla, indicandola come riferimento morale del suo mandato. E Sala sa che il messaggio della senatrice a vita, quello che campeggia anche al Memoriale della Shoah, verte sull'indifferenza. Ma lo aveva capito davvero, il sindaco, quel messaggio?
Venerdì, come noto, ha opposto un diniego sbrigativo all'appello che gli era stato rivolto da Brigata ebraica e Associazione milanese Pro Israele: illuminare di arancione (come i capelli di Kfir e Ariel) la facciata del Comune, per onorare la memoria dei piccoli, vittime del terrorismo islamista. Lo ha fatto in modo infelice, accampando l'esigenza di «posizioni politiche» da tenere, quando invece era chiamato non a schierarsi, ma a compiere un gesto che si richiamasse a civiltà e umanità contro il terrore (e l'indifferenza). Il sit-in si è tenuto e ha accolto con un applauso la presenza, non prevista, di Segre.
«Stiamo parlando di bambini: essere qui è già la risposta a qualsiasi domanda» ha detto lei, spiegando il senso del suo esserci. Quella presenza non rispondeva, non lo ha mai fatto, a logiche di parte. E forse ora Sala avrà capito di essere venuto meno ai riferimenti e ai principi, di solidarietà e umanità, che lui stesso si era prefissato.
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