(...) ma sono proprio quelli che ormai vediamo frequentemente sulle insegne dei negozi che, un tempo, avevano il nome che era anche il cognome del vicino di casa. Eccola qui un'altra faccia della crisi di Genova che in questi giorni di ponte e sbarchi delle navi da crociera, vede i commercianti cinesi ad accogliere i turisti arrivati nel capoluogo ligure. I genovesi restano chiusi, loro no: quasi unici a lasciare le saracinesche alzate ma anche ineguagliabili investitori che stanno occupando buona parte del tessuto commerciale cittadino. Prezzi bassissimi su ogni tipo di merce, affitti dei locali pagati anche in contanti e con anticipo, attività aperte dalla prima mattina alla tarda serata ed in ogni giorno dell'anno: così gli imprenditori dagli occhi a mandorla stanno sbaragliando ogni tipo di concorrenza mettendo in ginocchio l'antico tessuto commerciale cittadino.
Hanno cominciato, ormai una quindicina di anni fa, in periferia in quartieri come Voltri, Cornigliano, Bolzaneto, Rivarolo e Di Negro dove hanno aperto piccole botteghe. Poi, con il tempo, hanno saputo «mangiare» spazi agli altri ed ogni volta che una serranda della delegazione si abbassava, si sono allargati prendendo nuovi spazi ed arrivando quasi a monopolizzare il mercato dei piccoli negozi. Dalle rosticcerie take away al ristorante, dal parrucchiere al negozio «mille usi», per Genova si tratta di una vera e propria invasione. Nessuna China Town nella città sul modello di grandi agglomerati statunitensi come San Francisco e New York, siamo quasi alla «China Genova Town» visto che gli emigrati dall'oriente hanno messo le mani sul centro storico. In piazza Campetto, per esempio, entro luglio al posto di uno storico marchio per l'abbigliamento sportivo come Camisasca, aprirà un ristorante cinese con annesso centro benessere, mentre in via San Luca - ormai - è difficile trovare un'insegna che non abbia i caratteri dell'alfabeto mandarino. Spazio alle botteghe guidate da orientali anche in via Luccoli e persino in un salotto del centro cittadino come via Cesarea, per non parlare di via San Vincenzo.
Ma a dimostrare come il commercio tradizionale sia agli sgoccioli e il futuro si tinga di giallo, è il caso di via De Amicis. A pochi metri dalla stazione Brignole, dove fino a pochi mesi fa era ospitata la concessionaria Porsche, ecco il primo megastore cinese del capoluogo ligure: 800 metri quadrati di spazio per i quali l'affitto mensile è pari a oltre 20mila euro. Una cifra non più spendibile nemmeno per chi gestiva un marchio di lusso come quello della casa automobilistica ma a buon mercato per il gruppo di asiatici che vende di tutto: abbigliamento, detersivi, batterie, bigiotteria, profumeria, giocattoli, articoli da ferramenta solo materiale di importazione con il marchio «made in China». È aperto ogni giorno, festivi compresi, dalle 8.30 alle 20.30. E ai prezzi proposti per la merce è praticamente impossibile competere.
Una concorrenza così spietata da convincere i vecchi commercianti a chiedere pietà alla propria clientela. Così, tra i negozi di Brignole (ma la stessa cosa sta accadendo nel centro storico) si trovano cartelli in vetrina con richiesta esplicita: «Non ci abbandonate, (...) siamo quelli dove potete rifugiarvi quando piove. (...) Siamo quelli che vi sanno consigliare sulla garanzia del prodotto». «Abbiamo dei dipendenti da salvaguardare - raccontano -, ci proviamo in tutti i modi ma sta diventando impossibile reggere. La concorrenza è spietata ed in un momento di crisi come questo capiamo l'esigenza della clientela di risparmiare in ogni modo.
È l'altra piaga di una Genova sempre più ripiegata su se stessa ma alla quale nessuno sembra interessato a far fronte. Eppure, per ogni esercizio che chiude, si contano disoccupati in più.
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