Più gente in città, meno eventi estivi

(...) Non è un capriccio, è un'esigenza, un modo per venire incontro alle richieste dei cittadini, un ruolo sociale che il Comune non può assicurare, ma deve assicurare. Soprattutto, è un ruolo altrettanto importante rispetto all'assistenza agli anziani o alla gestione degli asili o alla manutenzione del verde pubblico, indispensabile proprio per le fasce più deboli: terza età e bambini.
Eppure, nonostante tutte queste osservazioni, il Comune sembra latitare rispetto a qualcosa che somigli, almeno lontanamente, a un'«estate genovese», a un calendario organico degli eventi e delle manifestazioni culturali, a un'organizzazione degna di questo nome per chi resta a casa. Viene da rimpiangere Marta Vincenzi e il suo primo periodo, quello con Stefano Francesca - che avrà avuto tante colpe e ha patteggiato al suo processo - ma organizzava eventi in continuazione ed aveva elaborato un calendario in cui, da aprile a ottobre, dal premio Paganini al Nautico, dalle anteprime dei concerti al Festival della Scienza, tutto rientrava in un'unico disegno. Pure con tanti poli decentrati: penso, ad esempio, ai dibattiti serali alle piscine di Albaro.
Oggi, invece, è calma piatta. Le manifestazioni sono rarissime, il livello non sempre garantito e, soprattutto, spesso occorre affidarsi all'iniziativa dei privati. Penso, ad esempio, alle tre settimane fra agosto e settembre in cui il Porto Antico ospiterà la festa Nazionale del Pd: bello, avremo spettacoli e ministri ogni giorno come se piovesse, ci saranno gli stand con le salamelle e il ristorante mari e monti. Ma è mai possibile che la Festa dell'Unità (sia pure con nome nuovo) diventi l'attrattiva massima dell'estate genovese? A me non sembra una grande trovata.
Oppure, penso alle manifestazioni dell'area del Porto Antico. Che sono tante, che in molti casi sono anche valide, ma che sono organizzate dalla «Porto Antico» o dal Civ, non sono direttamente farina del sacco o dei fuorisacco comunali. O, ancora, all'estate a Villa Bombrini. Meno notevole rispetto alle attività invernali con i bellissimi reading di Save the story organizzati in collaborazione con l'Archivolto o al teatro fisico di Yves Klein o alle recite per ragazzi del teatro del Piccione dello scorso anno, ma comunque significativa. E degna di dare un significato al lavoro della Società per Cornigliano che dà un contributo decisivo a portare le rassegne là dove un tempo c'era la direzione delle attività siderurgiche. O ancora, a mio parere, si sente moltissimo l'assenza di Mondomare - fiore all'occhiello dell'Archivolto che girava per la Regione - e anche dei cicli di letture a Palazzo Tursi gestiti dalla premiata ditta Rando-Gallione. E occorrerà aspettare la serata di festaggiamento dell'Archivolto con Claudio Bisio del 28 settembre per rivedere all'opera gli artefici delle estati più belle.
Persino lo splendido Donne in guerra, lo spettacolo itinerante scritto da Laura Sicignano, bellissima con l'anima, che ha trasformato il trenino di Casella in un palcoscenico, è passato via, nella sua ultima edizione, quasi come un atto dovuto. Con merito più di Laura che delle istituzioni e, addirittura, l'Amt, non più partner, ma esattrice dei biglietti.
E pure Sergio Maifredi e i suoi Teatri Possibili, che firmano grandi stagioni estive, lo faranno ad Albisola Superiore, a Chiavari, a Portofino, a Pieve Ligure e persino nelle Marche. Ma - tranne i Dialoghi sulla rappresentazione, splendido appuntamento di fine estate - tutto questo non avviene a Genova.

Dove ci si riempie la bocca della parola «cultura», dove si attacca chi dice che con la cultura non si mangia, e dove ci si dimentica dei cittadini che rimangono in città.
Maifredi suda per i Teatri Possibili. Ma a Genova, d'estate, dovrebbero chiamarli teatri impossibili.

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