Giù le mani da tasse ed Einaudi

Uno, Piero Fassino, l'ha tirato in ballo in occasione di una bega con Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera. L'altro, Romano Prodi, l'ha tirato in ballo in occasione di un richiamo ai parroci che non parlano di evasione fiscale. Si tratta di Luigi Einaudi, mai sufficientemente rimpianto Presidente della Repubblica. Del resto se Fassino e Prodi non tirano in ballo Einaudi in queste occasioni quando ne devono parlare? Ché, quotidianamente, fanno il contrario di quanto l'economista liberale ha predicato per anni.
Ci sono voluti una cinquantina d'anni perché le rispettive ghenghe, quella dei comunisti di Fassino e quella dei dossettiani di Prodi riscoprissero Einaudi. E dopo cinquant'anni si occupano dell'edificio einaudiano partendo dalle cantine. Forse è meglio che lascino perdere.
Lasciamo stare le beghe tra Fassino e Mieli e occupiamoci del professor Prodi.
Ha citato Einaudi richiamando i parroci a parlare di più dell'evasione e degli evasori. Ora, a parte l'enorme imbarazzo che un presidente del Consiglio si occupi di indicare ai parroci di cosa debbano parlare, ha tante e tali cose da fare il professore che, non sapendo più dove battere la testa, ha deciso di occuparsi delle omelie. Probabilmente ha pensato che solo Visco non è sufficiente ad impaurire gli italiani e, quindi, vuol passare al contrattacco attraverso i confessionali. Chissà, se un domani, per legge, troveremo il modulo per la dichiarazione dei redditi all'ingresso delle chiese, laddove una volta si trovava la buona stampa?
Il professore non è sfiorato dall'idea che ci sia anche, in ambito cattolico, un'etica della tassazione giusta prima ancora che di quella della lotta all'evasore. Nella sua cultura dossettiana questo non è contemplato perché in quella cultura tanto più Stato c'è, tanto meglio è, anche attraverso le tasse. Ma prima di Dossetti ci sono stati altri pensatori che si sono occupati della materia un po' più approfonditamente e nel senso contrario da quello indicato dal pensatore bolognese. Basterebbe leggersi tutti gli autori della scuola di Salamanca: si tratta di gesuiti, francescani e domenicani, non di aderenti alla Confcommercio, alla Confartigianato o simili bande di evasori (sempre secondo il professore).
Torniamo ad Einaudi. Tra le varie distinzioni che Einaudi fa tra le tasse giuste e le tasse ingiuste ce n’è una che sembra tagliata come un vestito su Prodi e Visco. Secondo l'economista di Dogliani, esistono le tasse «economiche» e le tasse «grandine». Le prime sono quelle che il contribuente apprezza come utili perché ne vede un ritorno per sé e per la società in termini di servizi e anche di incentivi allo sviluppo economico. Sono tasse che fanno bene. Non sono le tasse di Prodi e di Visco che, viceversa, sono quelle che Einaudi chiama «grandine». Sono quelle, appunto, che si abbattono sull'economia nazionale come la pioggia sulle coltivazioni: la deprimono, quando non la distruggono. Prima di occuparsi di Einaudi che combatte l'evasione, il professor Prodi dovrebbe occuparsi di se stesso che non distrugga l'economia.
Vogliamo ricordare, sempre al professor Prodi, una celeberrima distinzione che Einaudi fece e che è riportata nelle sue prediche inutili. È quella tra i socialisti, che si occupano della redistribuzione della ricchezza, e i liberali che si occupano della creazione della ricchezza. Siccome questo governo si è occupato malamente di ambedue non rientra neanche nelle categorie einaudiane. È talmente un caos che non si sa dove collocarlo. Che abbia, infatti, depresso l'economia ormai lo dicono tutti. E in tutti i sensi. Che poi, in esso, ci sia una parte (la sinistra estrema dentro e il sindacato fuori) che si occupa esclusivamente di come ridistribuire la ricchezza, anche quella che non c'è, è un altro dato di fatto. Ora questi signori non sono sconosciuti a Prodi. Sono suoi alleati.

Non so se Einaudi andando ad un congresso della Cgil avrebbe potuto dire, come fece il professor Prodi, prima delle elezioni, «il vostro programma è il mio programma». Purtroppo ci siamo resi conto che era vero. Ma certamente non sarebbe stato il programma di Luigi Einaudi.
Paolo Del Debbio

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