Il Giro nelle mani di un santo e un Sarchiapone

Oggi a San Luca e lunedì sul misterioso Monte Petrano si capirà se potremo evitare un finale umoristico

Il Giro nelle mani di un santo e un Sarchiapone

nostro inviato a Firenze

Caro diario, ti affido una veloce guida pratica per comprendere meglio l'ultima settimana del Giro. Così, alla buona.
San Luca: si può scherzare con i fanti e bisogna lasciar stare i santi, ma per una volta San Luca chiuderà un occhio se dico che tutti quanti, in Italia, oggi sognano una sua specialissima metamorfosi, lassù in cima al colle storico di Bologna, vedendolo diventare per un giorno San Di Luca. Sarebbe un bel sabato italiano, con il nostro specialista in rifiniture pronto a sfruttare lo strappo finale e a riprendersi la maglia rosa, ceduta l'altro giorno nel tritacarne a cronometro delle Cinque Terre. Ovviamente Menchov non è così entusiasta all'idea, ma non è che possiamo starci a preoccupare anche dei russi.
Monte Petrano: nessuno sa cosa sia, nessuno sa dove sia, ma tutti ne parlano come di un'entità orribile e spaventosa. È praticamente il Sarchiapone del Giro, discendente diretto del celebre animale immaginario e mostruoso, al centro della memorabile gag tra Walter Chiari e Carlo Campanini. In realtà, è una montagna marchigiana che lunedì dovrebbe restituire al Giro del centenario una parvenza di durezza e di cattiveria. Lì Basso vuole sconvolgere la classifica, lì Menchov vuole definitivamente seppellirla, lì Leipheimer conta di arrivare finalmente in rosa. Oltre a loro, tutta una pletora di autorevoli campioni che promettono le cose più turpi: attacchi a sorpresa, strategie a tenaglia, agguati letali. Tutti speriamo vivamente che la metà della metà delle cose promesse davvero avvenga. Resta però la penosa constatazione che questi avvenimenti, una volta, nella terza settimana accadevano su Mortirolo, Marmolada, Cime di Lavaredo, Gavia, Zoncolan, Stelvio, Pordoi, Colle dell'Agnello, Colle delle Finestre (e qui mi fermo, perché lo spazio è tiranno). Per il glorioso Centenario, Zom il Patron ha pensato bene di trasferire le celebrazioni sul Monte Petrano. Quando si dice il senso del mito. Spero solo che il Monte Petrano, alla fine, non passi alla storia come il Sarchiapone. Un mito dell'umorismo.
Vaffancubo: ricorro a un refuso per esprimere il cordiale saluto con cui Petacchi congeda dal traguardo di Firenze il collega americano Farrar. I due sono ormai uniti da un sano rapporto di colleganza, fondato sulle reciproche carognate, ma soprattutto sul comune destino di sparring partner: a farli neri entrambi, con metodica opera di demolizione, è il prodigio inglese Cavendish. Cannonball ci ha talmente preso gusto, in questo Giro, che proprio non se ne voleva più andare, nonostante da giorni il suo diesse Piva lo implorasse di fermarsi, in vista del Tour. A Firenze, la resa: dopo la vittoria, le valigie. Annotazione: per quanto il diesse implorasse, i più convinti nel sostenere che a Cavendish servisse un precoce ritiro erano Petacchi e Farrar.
Twitter: sarebbe il nome di un social network, in sostanza è un canale Sms che tutti i giorni Armstrong usa per mandare a 895mila tifosi i suoi pensieri. Da quando è al Giro, risulta abbastanza monotono. È una quotidiana litania di lamentele, in perfetto stile terza età amara, intollerante e ingrugnita. Troppe curve, troppe discese, troppo di tutto. L'ultima, per la tappa trasferimento di Firenze: «Si va troppo forte, oltre cinquanta orari, crazy, folle». Soddisfazione solo per la logistica: «Grazie a Zomegnan, mi ha sistemato in ottimi alberghi». Seguendolo via Twitter, risulta più chiaro quello che Lance intende per Giro d'Italia ideale: tappe di 30 chilometri, media 30 all'ora, viaggio in decapottabile, molte soste in autogrill.
Frase del giorno: è il cameo letterario che la Rai, quotidianamente, inserisce tra un collegamento e l'altro. Sono pensieri scritti dai grandi inviati del passato, sui grandi campioni del passato, nei grandi Giri del passato. Li introduce con voce molto impostata, adeguata alla circostanza, quel grandissimo inviato di oggi (140 chili) che risponde al nome di Auro Bulbarelli. Frasi di Orio Vergani, Dino Buzzati, Vasco Pratolini. Così nelle prime tappe. Ultimamente si nota però una certa difficoltà nel proporre pezzi forti e toccanti.

Raschiano il barile. Stanno comparendo frasi scritte da emeriti pisquani, probabilmente parenti stretti o amici intimi di qualche usciere Rai. Se serve, tra mito e leggenda, ci sarebbe anche questa: «Ma il Bulba ci è o ci fa?». È mia.

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