Giscard: «Può rinascere la Costituzione europea»

«Il no popolare del 2005? Un incidente di percorso: un leader forte lo ribalterà»

Marcello Foa

La Costituzione europea? Non è affatto morta e ora, proprio grazie alla Francia, può ripartire. Parola di Giscard d’Estaing, che di quella Carta è il padre, e che oggi parteciperà a Firenze al grande convegno «La parola Europa», organizzato dal Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux e dall’Istituo Universitario Europeo. Giscard ci ha concesso questa intervista.
Dopo il no al referendum la Francia non parla più di Unione Europea: c’è un tabù?
«Al contrario. Quelli che allora invitarono a votare “no” non avevano progetti alternativi, ma a me sembra che ora ci siano segnali positivi. I sondaggi indicano che l’opione pubblica è ampiamente favorevole sia all’idea di Europa sia alla Costituzione».
Però finora i candidati alle presidenziali sembrano evitare il confronto su questo punto...
«C’è un dato che mi sembra significativo: Fabius guidava il fronte del “no” alla Costituzione, ma a quanto pare i delegati socialisti non sembrano disposti a dargli fiducia; fino a ieri sera i sondaggi lo davano all’ultimo posto. La campagna è stata dominata da Strauss-Kahn e da Ségolène Royal, entrambi favorevoli alla Carta, come d’altronde i leader del centrodestra. Il quadro è chiaro: passate le elezioni, Parigi riprenderà il cammino europeo».
Ma per ribaltare un no popolare ci vuole un leader forte, lei lo vede tra gli attuali candidati all’Eliseo?
«La storia dimostra che i veri statisti emergono una volta al potere, non prima. Nessuno pensava che la Thatcher potesse avere capacità tanto spiccate quando entrò a Downing Street. Lo stesso potrebbe accadere ora a Parigi, non lasciamoci ingannare dalle apparenze, specialmente elettorali...».
Ma l’Europa sarà uno dei temi della campagna presidenziale?
«Non sarà centrale, ma sarà comunque importante. Se l’opposizione all’Europa fosse molto radicata, i partiti tenderebbero a cavalcarlo, e invece così non è. L’altro giorno è stata approvata la direttiva Bolkestein, quella sull’idraulico polacco, per intenderci, ma nessuno ne parla. La verità è che il “no” del 2005 è stato un incidente di percorso, provocato da scelte sbagliate del governo e da una tempistica sfavorevole, ma ora il clima economico e sociale è cambiato».
E la Merkel che ruolo può giocare? C’è molta attesa per la presidenza tedesca...
«Le premesse sono eccellenti. Le dichiarazioni adottate dal governo tedesco sono esemplari sia sulla necessità di adottare la Costituzione, sia di fare una pausa nel processo di allargamento, concentrandosi sulla missione dell’Unione Europea: ovvero l’organizzazione sociale, economica e politica».
Stop all’allargamento per lei significa stop alla Turchia, vero?
«Ci sono differenze che ritengo insormontabili. La Ue mira a dare una struttura comune ai cittadini di diversi Paesi, ma che hanno un patrimonio di identità e culturali comune. La Turchia è un Paese importante con un’economia in crescita, ma è situata fuori dal Continente: bisogna instaurare ottimi rapporti con loro, ma non possono essere membri dell’Unione».
La Turchia è ai ferri corti con la Francia per la legge votata dalla Camera sul genocidio armeno.

Era necessario attizzare il fuoco?
«Questa polemica non c’entra con i negoziati europei, ma personalmente ritengo sbagliata questa legge, perché è liberticida. È innegabile che ci sia stato un genocidio armeno, ma una nuova legge che preveda condanne penali per chi lo nega è davvero contraria alla libertà d’espressione».
marcello.foa@ilgiornale.it

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