Due ragazze, una delle quali con precedenti esperienze di sesso a pagamento, riescono a farsi invitare a una serata ad Arcore. Cenano con altra gente assieme a Berlusconi, poi tornano subito a casa non senza ringraziare via sms per la squisita accoglienza e la bella esperienza. Sette mesi dopo leggono sui giornali dell’inchiesta Ruby e, assistite da una avvocatessa dell’Italia dei Valori, si fanno avanti per chiedere i danni morali, in quanto turbate da quanto visto e letto.
La questione puzza lontano un miglio di furbata, ma non per il tribunale di Milano che ieri ha accolto la loro richiesta di costituirsi parte civile. Se questo è l’inizio del processo al Bunga Bunga, figuriamoci la fine. Una sentenza di fatto già scritta, che per colpire Silvio Berlusconi passa anche attraverso Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, tutti e tre colpevoli di essere amici del premier e di aver frequentato Arcore con assiduità.
Ma ieri, prima udienza, i Pm sono andati anche oltre, definendo l’abitazione del premier un bordello. Offesa a parte, cosa ne sa un magistrato dei bordelli? Quando la sera un Pm si ritira a casa sua con l’amica che magari cambia ogni settimana, la sua abitazione come la si definisce? Quando il medesimo è in libera uscita con l’amante, che succede? Commette un reato o semplicemente esercita a modo suo le libertà fondamentali e individuali, comprese quelle di divertirsi e fornicare?
Il vero bordello è quello che, su più fronti, sta combinando la magistratura etica che vuole stabilire ciò che è reato
non in base ai fatti ma alla morale piegata a scopi politici. Così alla sbarra finiscono i rapporti tra maggiorenni consenzienti. Credo che pochi magistrati salverebbero la faccia da una simile gogna. Lo so per certo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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