Alla Giustizia va Alfano: un nome nuovo per il ruolo più spinoso

Agrigentino, 37 anni, laureato in Legge, è stato il più giovane deputato regionale siciliano. Quando Miccichè lo portò ad Arcore Berlusconi lo volle come suo segretario particolare

Alla Giustizia va Alfano: un nome nuovo per il ruolo più spinoso

Roma - Assieme agli ex governatori della Puglia Raffaele Fitto e della Sardegna Mauro Pili, faceva parte della «cucciolata d’oro» di Forza Italia (di cui ancora parecchi come Maurizio Lupi o Guido Crosetto sono in attesa di inevitabile decollo). Quelli che si erano diligentemente messi in fila dietro i Miccichè, i Galan, i Formigoni e che ora vengono spinti in prima linea. Certo che lui, Angelino Alfano, siciliano di Agrigento, 37 anni lo scorso ottobre, un salto così importante non se lo aspettava proprio: da coordinatore di Forza Italia in Sicilia alla scrivania di via Arenula. «Pensavo di scendere al secondo piano e invece l’ascensore mi porta su fino all’attico...», ha confessato qualche giorno fa agli amici, non nascondendo di avere una certa paura «di precipitare».

Già. Perché il ministero della Giustizia, mica è una nocciolina da inghiottire beato. C’è la Anm, c’è il Csm, ci sono pm e sostituti che ringhiano spesso e volentieri a chi chiede loro di limitarsi a far la guardia senza invadere i terreni altrui. Mastella dall’esperienza è uscito - ahilui - semipolverizzato. Ma anche chi lo precedette nella poltrona di Guardasigilli - tanto di centrodestra che di centrosinistra - si è trovato a sdraiarsi in un letto di spine su cui neanche il più esperto dei fachiri riuscirebbe a restare illeso. Alfano scuote le spalle: «Se dovrò farlo - ha fatto sapere - m’impegnerò appieno per una pacificazione col mondo della magistratura». Possibilità non gli mancano. Uomo calmo e cauto, toni soft, gran lavoratore. Frutto della scuola paterna (è figlio di un insegnante che nella Dc, da fanfaniano, giunse a fare il vicesindaco di Agrigento), e di una attitudine al dialogo che ha praticato spesso e volentieri nel corso della sua già lunga attività politica. Iniziata come più giovane parlamentare dell’Ars (l’Assemblea regionale siciliana) e poi dipanatasi alla Camera, anche se poi fu il prescelto per curare l’attività di Forza Italia - mediando spesso tra il duo Schifani-La Loggia e Miccichè e poi riuscendo a non far agitare troppo le acque con gli alleati, nell’isola, tanto da riuscire a evitare rotture traumatiche con Totò Cuffaro - senza contare che spesso, negli ultimi tempi, era chiamato a offrire le sue «consulenze» a Berlusconi.

Il Cavaliere se lo vide portare ad Arcore da Miccichè e, a quanto narrano, ne fu colpito. Modi e dizione lo portarono a farne un po’ il suo segretario particolare dal 2001. Una sorta di golden boy in Forza Italia che si riteneva avesse i numeri per arrivare a sostituire Bondi e Cicchitto e che tra l’altro è tuttora uno dei responsabili della costituente del Pdl. E invece, con Verdini al comando del partito, eccolo proiettato verso la poltrona di Guardasigilli.

Dicono non abbia esperienza in materia: in realtà non è proprio così. Laureato in Giurisprudenza a 24 anni alla Cattolica di Milano (una tesi in Diritto civile sui partiti politici), ha svolto un dottorato di ricerca sull’impresa e ha fornito la sua esperienza presso la cattedra di Diritto privato dell’Università di Palermo. Insomma, per nulla uno sprovveduto. Con una connotazione in più e per nulla marginale per un Guardasigilli siciliano: era il 2005 e il nostro andò a urlare ai microfoni di Raidue: «La mafia fa schifo!».

Mica solo uno sfogo. Lui lo racconta di appartenere a una generazione che ha visto tanti, troppi delitti di mafia: era alle elementari quando ammazzarono Mattarella, alle medie quando fu la volta di Dalla Chiesa, all’Università quando Falcone e Borsellino furono spazzati via dal tritolo. Lo dicono più o meno tutti in Sicilia, anche esponenti politici della sinistra: se c’è uno che non ha a che fare con ambienti mafiosi (e che tra l’altro non è mai stato coinvolto neanche di sguincio in vicende giudiziarie) è Angiolino. Alfano, appunto.

Sposato, due figli, amante del mare (ha una casa sulle spiagge agrigentine), ma anche della montagna (fino ad ora non rinunciava alla settimana bianca), il futuro Guardasigilli è un cattolico convinto senza che questo lo porti ad assumere posizioni ultrà. Un moderato in tutto e per tutto con l’unica passioncella di vestire sempre con impeccabile aplomb. L’abito non farà il monaco, ma certo aiuta: in politica e nella vita.

Quanto gli sarà utile in via Arenula è da verificare. Ma Alfano, che pure è giudicato di specchiata modestia, non è tipo da timori reverenziali.

Parla, discute, cerca di capire le ragioni degli altri ma - dice chi ha lavorato al suo fianco in Forza Italia - quando si tratta di decidere, decide. Lo ha fatto anche in Sicilia quando Cuffaro si dimise. E lui si schierò con Schifani e La Loggia contro Miccichè che voleva subentrargli, accettando alla fine la candidatura di Lombardo.

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