Il gotico siciliano di Labbate fra deserto e miti urbani

L'autore parla del romanzo «Lo Scuru» che diventa un film e un videogame e della novella «La schiaffatùra»

Il gotico siciliano di Labbate fra deserto e miti urbani

Razziddu (cioè Orazio) Buscemi, siciliano emigrato da anni in West Virginia, ricorda la sua infanzia fra esorcismi, violenza, visioni, ricordi, immagini teologiche e mitologiche... Razziddu, la sua Sicilia meridionale (fra Gela e Butera) e il suo «gotico siciliano» sono stati l'esordio di Orazio Labbate, buterese, allora ventinovenne. Dieci anni dopo, Lo Scuru torna, con una nuova introduzione, per Bompiani e diventerà anche un film, atteso per il 2025. Nel frattempo Labbate ha appena pubblicato anche La schiaffatùra, edita da Italo Svevo, che racconta «Nascita, Doppelgänger e scomparsa della gorgone buterese»: una «novella mitologica», genere assai poco diffuso al giorno d'oggi... «Sono giovane, ma vecchio - dice Labbate - Si tratta di una invenzione narrativa basata su una figura che non esiste, tirata fuori dalla mitologia urbana». Del resto Labbate si definisce «un costruttore di mitologia urbana», che si basa «sia sulla strada, sia sul simbolismo, la mitologia, la religione». E la strada, o meglio le strade, sono quelle intorno alla sua Butera, provincia di Caltanissetta. Nasce tutto lì: «Schiaffatùra significa lucertola. È un termine del mio territorio, che dalla letteratura siciliana è poco conosciuto, mai troppo esaltato. Quella tra Butera e Gela è considerata una Sicilia meno attraente, desertica, furente: un Mediterraneo texano, dove la religione è l'unica osanna in pomeriggi e vite eccessivamente solitarie. Noi buteresi viviamo attorniati da valloni desertici».

È in queste terre assolate e aride, ma fertili di miti e riti, che emerge il «Sud assoluto»: «È un concetto mutuato da una certa narrativa americana - spiega Labbate - Sono i luoghi dove McCarthy fonda la sua letteratura: le zone desertiche di Meridiano di sangue, St Louis nel Missouri, l'Oklahoma immenso, il Texas. Vedo questo Sud assoluto come mio, della Sicilia: da lì il gotico siciliano. Quando ho visitato quei luoghi, in America, ho percepito un atteggiamento geografico simile: il deserto trionfa e la religione colma la solitudine del deserto». La campagna buterese è anche il teatro delle riprese del film che sarà tratto dal romanzo Lo Scuru: «Il titolo resterà identico e sarà diretto da un giovane palermitano, Giuseppe William Lombardo, e prodotto da Grey Ladder. Nel cast ci saranno fra i più noti attori siciliani e arriverà nei cinema nella prima metà del 2025. Sarà distribuito anche oltreoceano. E si farà un videogioco, una sorta di game di avventura grafica».

Questa doppia trasposizione è, secondo Labbate, legata alla natura stessa del suo lavoro: «Molta mia narrativa ha le procedure del cinema e del mondo videoludico in cui sono cresciuto: trasuda True Detective e ha una caratura antiitalica, da cui, credo, derivi l'interesse da parte degli americani». Ma il «gotico siciliano» non è solo paesaggio: «Prima è lingua» dice Labbate. Una lingua fatta di dialetto, suoni gutturali, una complessità di vocaboli e di struttura, apparentemente difficile da rendere anche all'estero: «Ma gli americani erano interessati proprio a questa lingua franca, a questo linguaggio innovativo in luoghi innovativi. È un paradosso: più sei letterario, più loro lo vogliono» spiega l'autore. Per il quale questa lingua ha radici profonde: «Per me è anche una questione di lotta contro una certa letteratura siciliana. Vorrei vedere trionfare i veri scrittori siciliani, quelli che hanno inventato una lingua: D'Arrigo, Bufalino, Consolo». Quanto alla «certa letteratura siciliana»... «Non apprezzo il cliché ironico. Ha il suo mercato ma, se devo fare un ragionamento da scrittore e da critico, non dovrebbe essere così diffuso, perché è troppo da cartolina». Invece Labbate vuole «il mito e l'oscurità»: «Per me Horcynus Orca è pari all'Odissea, è Moby Dick in Sicilia».

E così, la lingua, usando un vocabolo buterese, deve «iscurirsi»: «L'iscurimento ha l'obiettivo di soddisfare la parte umbratile del siciliano, quella riflessività teologica, che il solo italiano non può includere. Mischio italiano e siciliano, rifacendomi all'oscurità del dialetto, per colmare i vuoti di una fraseologia classica». Lo slang buterese è fatto di intonazione cupa e suoni gutturali, le u, le h. «È come se questo linguaggio mostrasse il potere del fuoco, di una rabbiosità ancestrale di questi luoghi». Un esempio su tutti, il verbo «fucuniare»: «Una fucuniata è la fucilata a calcio, ma di fuoco»...

C'è un'altra componente fondamentale per Labbate: «Un certo cinema orrorifico, con cui sono cresciuto. L'orrore è presente nei simulacri cattolici che siamo costretti a frequentare da bambini, in cui viviamo la ritualità e la paura insieme: le statue del Cristo, il sangue che cola, la corona di spine. Tutto questo, senza offendere, può essere reso figura della mitologia urbana: è il Signore dei Puci, una sorta di antieroe, la paura fattasi statua, che nello Scuru si oppone al protagonista Razziddu».

Tutta questa oscurità può sembrare in contrasto con la luce meravigliosa della Sicilia. «È Bufalino ad avere scritto La luce e il lutto: la troppa luce siciliana è mortifera, perché brucia, ed è per questo che la rifuggiamo. Perché in essa c'è già l'ombra. Sotto quella luce battente abbiamo già a che fare con la morte. Siamo vampiri esistenziali». Per rendersene conto, sostiene Labbate che bisogna percorrere la Strada provinciale 8 tra Butera e Gela, una specie di Route 66 siciliana: «La morfologia del territorio è la stessa. E poi arrivi alla piana di Gela, col petrolchimico, come fosse True Detective. L'oscurità ti si instilla dentro, ma c'è Dio nell'oscurità: ci parla, se lo sappiamo prendere. Ma serve una parola con dignità divina».

Nonostante si senta «vecchio», Labbate non si ritiene isolato, letterariamente parlando: «Non mi sento solo. Curo una collana, Interzona, per l'editore Polidoro. È un errore pensare che la propria letteratura sia la migliore e che risponda a tutte le domande. Per esempio stimo Emanuele Tonon, Antonio Franchini, Antonio Moresco, Paolo Sortino, Alcide Pierantozzi». Da editor cerca «qualcuno che abbia una cifra, una capacità linguistica e strutturale».

Spiega: «C'è una differenza fra Ronaldinho e Enzo Fernández e io amo i Ronaldinho: quelli che, a costo di sembrare esagerati, si distinguono per un quid, che credo di poter scorgere. Nella scrittura non può mancare l'incantesimo. Anche se non so se questo abbia una forza commerciale».

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