Almasri, Nordio in Aula: "Non sono un passacarte. Che pasticci dai giudici"

I ministri della Giustizia e dell’Interno spiegano: "Grossolane contraddizioni dalle toghe dell’Aia"

Almasri, Nordio in Aula: "Non sono un passacarte. Che pasticci dai giudici"
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Il «pasticcio» della Corte Penale Internazionale, la ricostruzione puntuale dei fatti che hanno portato all'arresto e al successivo rimpatrio del generale libico Najeem Osema Almasri Habish, la tutela dell'interesse nazionale, l'accusa rivolta all'opposizione, ma anche alla magistratura, di non essersi premurati di leggere le carte.

I ministri della Giustizia Carlo Nordio e dell'Interno Matteo Piantedosi, in una sorta di uno-due pugilistico o di naturale passaggio del testimone, si sottopongono al confronto con il Parlamento. E nell'informativa urgente alla Camera entrano nel dettaglio del caso che l'opposizione ha scelto di cavalcare per cercare di gettare sabbia negli ingranaggi del motore del governo e trasformare in un'arena l'aula di Montecitorio. «Ho manifestato subito la disponibilità ad essere ascoltato il prima possibile per chiarire questa vicenda sulla quale ci sono tantissime incertezze, inesattezze, talune grossolane contraddizioni», dice il Guardasigilli.

I toni sono misurati, ma nella sostanza il giudizio è duro e senza sconti. «Tanto più la richiesta proveniente dalla Corte Penale Internazionale è articolata e complessa, tanto maggiore deve essere la riflessione, anche critica, sul suo procedere logico, sulla sua coerenza argomentativa, sui dettagli degli elementi citati e sulla coerenza delle conclusioni. Come vedremo questa coerenza manca e quell'atto è radicalmente nullo», afferma Nordio. «Il ruolo del ministro puntualizza non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste che arrivano dalla Corte. Questo dice la legge, non è che io faccio da passacarte. No, ho il potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato ove se ne presenti necessità e questa necessità si presentava, eccome».

Quanto alla prima documentazione ricevuta dalla Corte internazionale, Nordio segnala la necessità di valutare «la coerenza delle conclusioni cui perviene la decisione della Cpi, secondo noi nulla». Dossier, ha tra l'altro sottolineato, «pervenuto in lingua inglese e con svariati allegati in lingua araba». Secondo Nordio la prima richiesta di arresto della Cpi conteneva «una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un'immediata richiesta alla Corte d'Appello».

«Non so perché abbiano agito in un modo così frettoloso da sbagliare completamente un atto così solenne come un mandato di cattura internazionale», sottolinea il Guardasigilli. «È mia intenzione prosegue Nordio chiedere alla Corte giustificazione circa le incongruenze di cui è stato mio dovere riferire». Poi l'affondo relativo all'indagine da cui è stato colpito insieme ad altri esponenti dell'esecutivo: «Mi ha deluso l'atteggiamento di una certa parte della magistratura che si è permessa di sindacare l'operato del ministero senza aver letto le carte. Cosa che può essere perdonata ai politici ma non a chi per mestiere le carte le dovrebbe leggere. Con questa parte della magistratura questo rende il dialogo molto più difficile. Questa parte della magistratura ha compattato la maggioranza come finora mai accaduto, andremo avanti fino alla riforma finale».

Che quella dell'esecutivo fosse una scelta obbligata lo sottolinea in maniera netta anche il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi che completa il mosaico della ricostruzione dei fatti. «Una volta venuta meno (su disposizione della Corte d'Appello di Roma) la condizione di restrizione della libertà personale, l'espulsione, che la legge attribuisce al ministro dell'Interno è stata da me individuata quale misura in quel momento più appropriata per salvaguardare, insieme, la sicurezza dello Stato e la tutela dell'ordine pubblico».

«Smentisco, inoltre, nella maniera più categorica, che, nelle ore in cui è stata gestita la vicenda - puntualizza il ministro dell'Interno, Piantedosi -, il governo abbia ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere, anche solo lontanamente, considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto. Il libico non è mai stato un interlocutore».

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