Il complotto non è una sindrome

Si accusa di complottismo Giorgia Meloni, ma di fatto c'è un pericolosissimo disegno che, colpendo la premier e i suoi più stretti collaboratori, mira a disarcionare l'esecutivo

Il complotto non è una sindrome
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La strategia, badate bene, è minimizzare. O, ancor peggio, buttarla in caciara. E così accade che, nonostante i campanelli d'allarme inizino ad essere tanti, e tutti preoccupanti, la sinistra e i giornaloni, che a questa fanno da cassa di risonanza, preferiscano accusare Giorgia Meloni d'essere affetta da un'imprecisata (e inesistente) «sindrome del complotto» o peggio ancora, e qua rasentiamo l'insulto, di vivere «un mood di paranoia cospirativa», anziché ammettere che sia in atto un pericolosissimo disegno che, colpendo la premier e i suoi più stretti collaboratori, mira a disarcionare l'esecutivo.

Un disegno fatto di spioni e di spiate, di dossier e di bufale, di campagne mediatiche e di teoremi giudiziari. Un disegno i cui artefici sono molteplici e probabilmente slegati tra loro ma che non per questo possono essere liquidati nel silenzio, come sta appunto facendo (colpevolmente) l'opposizione.

Dovrebbe bastare Striano a far drizzare le antenne. Eppure, non appena il capo del governo osa denunciare quanto marcio c'è in giro, viene accusata di andare a caccia di fantasmi. Eppure, a mettere in fila, una dopo l'altra, tutte le manovre, viene da interrogarsi sullo stato di salute della nostra democrazia. Perché, nelle ultime settimane, abbiamo scoperto che in giro non c'era solo un finanziere che «giocava» con le banche dati dell'Antimafia, ma anche un funzionario che curiosava nei conti correnti di mezzo governo.

E prima ancora che in certe procure c'è un interesse spasmodico per la sorella della premier. E poi gli scandali, le «inchieste» giornalistiche, le indagini a orologeria. No, non chiamiamolo complotto. Forse è meglio parlare di guerra aperta alla Meloni.

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