Grammy Awards, deludono i Måneskin. Beyoncé fa il record e entra nella leggenda

Il gruppo italiano tornerà a Sanremo a bocca asciutta. Il premio "Best new artist" va a Samara Joy

Grammy Awards, deludono i Måneskin. Beyoncé fa il record e entra nella leggenda

I Måneschin escono a mani vuote dalla sessantacinquesima edizione dei Grammy Award, che si sono tenuti ieri notte a Los Angeles. La band romana era considerata favorita fra i dieci candidati al premio miglior nuovo artista ma si sono visti portare via il grammofonino dal fenomeno jazz della Generazione Z , Samara Joy che ha vinto anche nella categoria miglior album vocale Jazz. Quindi il 9 febbraio i Måneskin saranno di nuovo sul palco del festival di Sanremo per la terza volta consecutiva dopo aver vinto nel 2021 con Zitti e buoni ma senza portarsi dietro un Grammy.

È però Beyoncé la musicista che fa notizia più di chiunque altro nella notte degli Oscar della musica. Era favorita in tutte le categorie più importanti con il suo Renaissance, che racconta la storia della musica nera gay del secolo scorso: record, canzone e album dell'anno, ma ha perso tutto. È la quarta volta che Beyoncé soccombe ai Grammy nelle categorie che contano, e le polemiche non sono mancate come non sono mancati i riconoscimenti dei colleghi. Lizzo, rendendole omaggio dal palcoscenico ha detto: «è l'artista del nostro tempo». Proprio Lizzo, con il suo About Damn Time, le ha soffiato il premio Record of the year. Quello per la canzone è andato a Bonnie Raitt per Just Like That e il Grammy più importante, album dell'anno, a Harry Styles per Harry's House. Nonostante questo, grazie ai quattro riconoscimenti ottenuti nelle categorie dance/electronic and r&b, (in tutto aveva dalla sua nove nomination) Queen B ha fatto suo un record che difficilmente verrà presto battuto: con 32 grammofonini è la star che ha vinto di più nella storia dei Grammy Award. La cantante è arrivata tardi alla cerimonia. «È bloccata nel traffico», ha detto Trevor Noah, che ha condotto la serata. Poi però è arrivata. Le sue difficoltà nel traffico in qualche modo hanno rappresentato il percorso sempre irto di ostacoli della cantante sulla strada dei Grammy.

Tre premi a testa sono andati a Kendrick Lamar, Brandi Carlile e Bonnie Raitt. Lamar, candidato a otto Grammy, ha vinto nelle categorie album, performance e canzone rap; Carlile ha portato a casa i premi per la canzone e la performance rock e l'American album award. Raitt ha ottenuto i premi Americana performance e American roots song, oltre alla già citata canzone dell'anno.

Due premi sono andati al duo rock inglese Wet Leg (alternative music album e performance) e a Harry Styles che oltre al prestigioso album dell'anno si è aggiudicato il grammofonino per il miglior disco pop-vocal. Un premio per Adele e Taylor Swift, rispettivamente migliore performance pop e miglior video. Viola Davis, con l'audio-libro del suo memoir Finding Me, è entrata nell'esclusivo club degli «Egot», i vincitori di Emmy, Grammy, Oscar e Tony (tv, musica, cinema e teatro).

Tornata ai fasti pre-Covid, la parte della cerimonia andata in onda in diretta dalla Crypto.com Arena (ex Staples Center) di Downtown Los Angeles, ha visto le esibizioni di Harry Styles, Bad Bunny, Mary J. Blige, Brandi Carlile, Luke Combs, Steve Lacy, Lizzo e Sam Smith e Kim Petras, che hanno cantato insieme la ormai popolarissima Unholy. La Petras, vincitrice insieme a Smith nella categoria best pop duo/group performance, ha a sua volta messo a segno un record. È la prima cantante transgender a vincere ai Grammy. Come Hollywood ormai non perde occasione di comandare, la serata è stata all'insegna dell'inclusione. Ha aperto il cantante rap portoricano Bad Bunny e Travor Noah ci ha scherzato su: «Faresti venir voglia di imparare lo spagnolo persino a Donald Trump». Le sue battute hanno mischiato la politica: «Sarò i vostri occhi e le vostre orecchie per tutta la serata. Pensate a me come a un pallone-spia cinese», con le frecciate ai presenti: «Le donne tirano le mutandine a Harry Styles, poi lui le indossa e si scopre che stanno meglio a lui».

Baraye, l'inno delle proteste in Iran, ha vinto il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo è stata la first lady americana Jill Biden.

La canzone del 25enne Shervin Hajipour è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran. Hajipour vive in Iran ed è libero su cauzione dopo esser stato arrestato quando proprio Baraye, in settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

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