Gramsci è vivo? Può darsi ma sarebbe meglio non lottasse con noi. Alessandro Giuli ha scritto appunto Gramsci è vivo. Sillabario per un'egemonia contemporanea (Rizzoli), forse non il primo ma comunque il più recente tentativo di definire la figura del civil servant di destra, ovvero l'uomo di parte ma al servizio, innanzi tutto, delle istituzioni. Il ruolo stesso di Giuli, da dicembre 2022 presidente del Maxxi, spiega l'importanza del saggio. La parte più viva, paradossalmente, è quella che guarda all'antico. Infatti, il riferimento principale di Giuli è il mondo classico della romanità, che ha ancora tanto da insegnarci. Ad esempio, sottolinea Giuli, una corretta concezione dell'identità nazionale, fissata da confini tanto sicuri da poter assimilare il diverso e lo straniero senza problemi. Senza contare che il vagabondo, nel mondo dei classici, spesso può nascondere un dio. E dunque non si deve avere nessuna paura dell'altro. Pur di avere gli strumenti necessari per integrarlo.
Su questo, aggiungiamo noi, c'è parecchio da fare visto che è l'Europa stessa a rifuggire la propria identità, chiudendosi nella oicofobia (l'odio per la propria cultura). L'idea che forse dovrebbe guidare la destra è la ricerca dell'universale. Nella pratica, i tratti comuni che ci permettono di dialogare con gli «estranei» pur rimanendo nei propri «confini». Ma come si fa, e anche questa è una giusta sottolineatura di Giuli, se non riusciamo neppure a costruire un pluralismo a stelle e a strisce? Da noi, rimane la selvaggia delegittimazione della destra, risospinta in un passato fascista evocato solo per convenienza. Da decenni, assistiamo a una grottesca riproposizione della guerra civile, alla parodia delle tragedie del Novecento, con eroi antifascisti in assenza di fascismo. Anche la destra ha dato e dà il suo contributo macchiettistico in molti modi: indifferenza o aperto disprezzo per la cultura, servilismo spontaneo del «censuro tutto io» o ragionato del «sono a disposizione», imitazione malriuscita dei precedenti padroni di sinistra, sindrome di Stoccolma nei confronti del sottobosco di scrittorucoli e comicastri sempre pronti a fare il pieno di soldi, Franza o Spagna purché se magna.
Giustamente Giuli si rivolge alla propria parte politica e lascia perdere inutili polemiche con la sinistra. È infatti la destra ad avere alcuni seri problemi. Solo una componente della maggioranza, Fratelli d'Italia, ha mostrato un reale interesse per la cultura. Le nomine hanno fatalmente ignorato, almeno per ora, il mondo liberale e cattolico. D'altronde è storia vecchia. A una parte del mondo conservatore non entra in testa un concetto lapalissiano per gli eredi della Fiamma e della Falce e martello: il consenso sul lungo periodo si costruisce principalmente con la cultura. E qui arriviamo al problema del gramscismo: il leader comunista aveva teorizzato una egemonia culturale grazie alla quale il popolo sarebbe arrivato alla scelta inevitabile della Rivoluzione bolscevica. Gli epigoni di Gramsci hanno stravolto la lezione e trasformato l'egemonia nella propria permanenza al potere nelle istituzioni culturali. Francamente la destra può, anzi: deve, fare a meno sia dell'una sia dell'altra versione dell'egemonia.
L'egemonia va conquistata sul campo, in sintesi: più bibliografie e meno nomine. Inoltre la destra non si deve dimenticare che la cultura non si fa solo all'interno o all'ombra delle istituzioni. Anzi, spesso sono i veri underdog ad avere prodotto le cose migliori, e valga un esempio per tutti, il nostro Stenio Solinas, citato da Giuli stesso.
Gramsci è vivo è un pamphlet sicuramente discutibile, ma non è proprio questo il fine dei pamphlet? In ogni caso è un libro che apre un dibattito, e quindi atteso oltre che necessario. Poi ognuno trarrà le proprie conclusioni.
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