Il grande bluff della missione di Prodi in Cina

Il Prof è tornato a casa solo con una «lettera d’intenti» sull’industria aerospaziale e la tutela dei Beni culturali

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Pechino

Quattro giorni di incontri e visite al massimo livello, tra la capitale e Shangai. Massimo D’Alema conferma con la missione in Cina - che è stata preceduta da un mini-blitz a Kabul per verificare lo stato delle cose con Karzai - l’interesse del governo italiano per il gigante asiatico già manifestato ampiamente dallo sbarco di Romano Prodi e i suoi mille a metà dello scorso settembre.
C’è da sperare che al ministro degli Esteri, al di là delle cerimonie modello film-Luce, i suoi ospiti riservino un trattamento almeno pari a quello offerto ai dignitari africani che hanno affollato Pechino giusto un paio di settimane fa, piuttosto che quello concesso al nostro presidente del Consiglio. Perché nei due giorni del «Forum sulla cooperazione Cina-Africa» che si sono svolti nella capitale cinese si è data vita ad un incredibile reticoli di accordi commerciali, diversamente dai sei giorni del maxi-viaggio prodiano i cui risultati, come si comincia a delineare, sono prossimi allo zero assoluto.
Nei due giorni del Forum cino-africano, da quel che è emerso con abbondanza di particolari, si sono firmati più di 2.500 accordi commerciali. Il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jaibao che già avevano portato l’interscambio commerciale col continente nero a 32 miliardi di dollari annui, hanno intensificato il pressing: 5 miliardi di dollari (di cui 3 in prestiti e 2 in crediti alle esportazioni) sono stati destinati dalla Repubblica Popolare a vari paesi, mentre sono già 175 i milioni di dollari investiti da aziende cinesi. Dopo aver costruito una raffineria vicino a Khartum e un oleodotto di 1.600 chilometri per portare il greggio a Port Said, al Sudan è stata assicurata la costruzione di una diga all’altezza della quarta cateratta del Nilo, alla Costa d’Avorio la creazione degli alloggi per i 225 deputati del paese, al Gabon la costruzione di una ferrovia e un nuovo porto per il materiale ferroso, allo Zambia una fucina per la produzione di rame. E, ancora, sono stati stipulati accordi con l’Angola e la Nigeria in cambio di petrolio, con Uganda e Rwanda per l’incentivazione del turismo, con la Tanzania per la costruzione di scuole e col Kenya per un nuovo stadio nella capitale. Oltre a tutto ciò, nei due giorni del Forum, la Cina ha annunciato la sua disponibilità all’istruzione per 15mila medici africani, la concessione di 4.000 borse di studio e l’eliminazione di dazi doganali per 440 prodotti del continente nero che si aggiunge all’elenco di altri 190 già esentati anni fa.
Un ricco bottino per i 53 stati africani che non a caso avevano inviato all’appuntamento ben 40 capi di stato e 8 leader politici. Un malloppo di affari davanti al quale impallidisce - per usare un eufemismo - la «grande missione» voluta da Prodi a settembre e che vide al fianco dell’inquilino di Palazzo Chigi ben 4 ministri, un viceministro, 3 sottosegretari, 12 rappresentanti regionali, 700 imprese, 26 associazioni industriali e 2 banche.
Quali infatti i risultati della missione? Un memorandum per lo sviluppo e le riforme: come a dire, idee messe nero su bianco senza sicurezza che si trasformino in qualcosa di più concreto. Tre documenti congiunti per la lotta alla povertà sul pianeta. Una lettera d’intenti (e il temine scelto la dice tutta) per una possibile collaborazione aero-spaziale, per un centro di tutela dei beni culturali e per lo sviluppo rurale. Cose accanto alle quali vanno comunque aggiunte un accordo per estendere all’Italia la possibilità di adozione di bimbi cinesi (valeva già per tutto il resto d’Europa) e la creazione di uno sportello bancario per favorire l’imprenditoria italiana in Cina.
Certo, all’epoca si sbandierò anche il nuovo accordo tra la Fiat - in effetti l’Iveco - e la regione di Nanchino per la produzione di autocarri, ma in realtà si trattò della formalizzazione di una intesa già digerita e a quel punto sottoscritta in pompa magna. Ma in realtà quello sbarco settembrino dei mille prodiani, più che a Calatafimi è finito per somigliare ad una sciagurata Custoza, se è vero quel che ha scritto poco tempo fa su un blog giornalistico un uomo d’affari italiano - reduce da un soggiorno nella Repubblica Popolare - secondo cui alla fin fine quel che risultava concretamente dopo il viaggio di Prodi era «uno scambio di lettere tra l’ambasciata d’Italia ed il ministero del Commercio Estero cinese per la realizzazione di supporto istituzionale alla formulazione di una nuova normativa a favore dei disabili»...
Suona così abbastanza comico quell’«Arriviamo tardi, dobbiamo correre» scelto da Prodi come motto per i suoi mille.

Anche perché giusto un paio d’anni prima, nel 2004, Ciampi stipulò diverse intese - tra cui quella che vede protagonista la Piaggio che entro il 2010 dovrebbe vedere in produzione 300mila veicoli l’anno - come riportato ampiamente proprio nel sito della Farnesina alla voce accordi coi cinesi. In cui manca invece qualsivoglia accenno ad accordi dopo lo sbarco dei mille e i tanti progetti messi in cantiere. Che forse a questo punto D’Alema cercherà di recuperare in qualche modo.

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