IL GRANDE FRATELLO CON LA TOGA

IL GRANDE FRATELLO CON LA TOGA

Non chiedeteci di ricostruire la trama dei rapporti che intercorrono fra governatori, banchieri, finanzieri, palazzinari, editori in atto e in potenza, bella gente e brutta gente. Non possiamo rispondere a tutte le domande connesse perché non disponiamo delle intercettazioni, noi. La storia si fa soltanto, pare, con le intercettazioni e la cronaca anche, ma le intercettazioni sono in pochissime ed elette mani che le dispensano con cautela e parsimonia, un tanto al giorno, baci abbracci e complimenti, sì e no, quel tanto che basta per intonare la congiuntura politica di ventiquattr’ore, poi si vedrà, domani è un altro giorno, il sole sorgerà ancora e altri sospiri saranno catturati da microspie, orecchie elettroniche e altre diavolerie.
È difficile dire quale fase – declino, ristrutturazione, apertura – stia vivendo il capitalismo italiano, ma è evidente che questo incerto soggetto per ora è sotto tutela, spiato, osservato, controllato a vista da una magistratura inquirente che si pone come arbitro unico e insindacabile di ogni atto importante che venga compiuto o soltanto pensato. La classe dirigente dirige, certamente, ma qualcuno ritiene che sia prudente non perderla mai di vista, marcarla stretta, auscultarla per il suo bene, cioè intercettarla.
Vien da commuoversi a ricordare con quale slancio il centrosinistra difese qualche tempo addietro l’autonomia del Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, che aveva qualche polemica con uomini della maggioranza. Ah, il Governatore non si tocca, Bankitalia deve essere autonoma dalla politica, dal governo, dalla maggioranza. Già, governatore autonomo, ma spiato, così come è da presumere siano spiati tutti i soggetti che si affaccino agli affari importanti. E chi dice che questa loro condizione di spiati non sia permanente, funzionale a una visione inquietante della società e delle istituzioni?
Quale altro Paese oltre all’Italia nell’Occidente democratico ha un così alto tasso di intercettazioni? E ancora, in quale altro Paese c’è un controllo così stretto, forse addirittura preventivo, sugli avvenimenti rilevanti della vita economica?
La magistratura inquirente nei fascicoli che apre trasfonde tutto ciò che superi – questa è l’impressione – le transazioni dei mercatini. Anche i diritti televisivi delle partite di calcio sono materia di osservazione e d’intercettazione.
Protagonismo? Può essere questa una delle chiavi per penetrare i misteri di una degenerazione, ma probabilmente c’è anche dell’altro. C’è l’aspirazione inespressa e tuttavia evidente a guidare di fatto la vita italiana, mantenendo rendita di posizione irritualmente acquisita negli anni di Tangentopoli e di Mani pulite. Anche l’abitudine al potere può creare dipendenza. È evidente che a rendere manifeste simili riflessioni si corre il rischio di essere additati come nemici della magistratura, «delegittimatori» recidivi. Ma la verità è che a delegittimarsi senza aiuti esterni sono certe toghe, alla cui potenza o onnipotenza si accompagna sempre il sospetto della politicizzazione.
Il gioco delle intercettazioni è un gioco al massacro che avvelena la vita pubblica. Contribuisce ad avvelenare il clima di un’Italia che sembra perennemente condannata alla fase dei misteri. Il virus del sospetto non risparmia nessuno, è saltata fuori anche l’ipotesi che certe informazioni riservate, in una vicenda delicata di alta e controversa finanza, siano state fornite proprio da un ufficio giudiziario.


Chi ci salverà dal dilagare delle intercettazioni? Quanti soprusi si commettono, ogni giorno, in nome della giustizia?
Nella retorica della sinistra c’è sempre stata l’invocazione alla «normalità», a un ordinato vivere civile. Sarebbe il caso che qualcuno se ne ricordasse e invitasse anche la magistratura a essere normale, senza ultrapoteri e orecchie capaci di sentir tutto.

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