La colonna di fumo grigio si espande verso il cielo salendo dietro una collina verde a un chilometro e mezzo in linea d’aria davanti a noi, dopo che l’artiglieria israeliana ha colpito una postazione di Hezbollah in territorio libanese. I giannizzeri di Teheran hanno lanciato un missile anti carro, una delle «scaramucce», sempre più intense, del fronte nord.
«Benvenuti sulla prima linea al confine con il Libano». Angelica Edna Calo Livne ci accoglie così sul terrazzo della sua casa nel kibbutz di Sasa, che domina uno splendido panorama verso la terra dei cedri.
«Israele arriva fino alla zona verde di quella collina. Nella terra brulla, subito oltre, c’è Hezbollah», spiega la madre di tre figli in prima linea, di origine italiana, che sul terrazzo ha esposto una bandiera israeliana. Suo marito Yehuda è il capo dell’unità di difesa del kibbutz, volontari in divisa verde oliva armati come i soldati israeliani. «Qualche giorno fa hanno tirato i razzi su quelle casette bianche di un altro kibbutz proprio a ridosso del confine», indica con la mano Angelica, che è una delle poche donne rimaste nell’insediamento a due chilometri dal Libano. Adesso a presidiare l’area ci sono i possenti carri armati Merkava riparati sotto gli alberi per non farsi individuare dai droni di Hezbollah. Le altre donne del kibbutz con i figli e gli anziani sono stati evacuati verso il centro di Israele.
Di notte i colpi sordi dell’artiglieria israeliana si mescolano al rombo dei caccia bombardieri e al ronzìo dei droni. Idf, le forze armate con la stella di Davide, hanno colpito più volte postazioni di Hezbollah, i giannizzeri libanesi dell’Iran, e intercettato cellule palestinesi della Jihad islamica che cercano di infiltrarsi verso gli storici insediamenti di confine per ripetere la strage del 7 ottobre al Sud (808 civili e 309 soldati israeliani morti identificati fino a ora).
Il kibbutz di Sasa solitamente ospita 500 anime e si estende per due chilometri e mezzo su una collina circondata da alberi di mele e filari di kiwi. «Siamo nella stagione della raccolta e vado ogni giorno nei campi - racconta Angelica quasi con un groppo in gola -. L’altra mattina mi sono chiesta: e se arrivasse Hezbollah, come ha fatto Hamas, per ammazzarci tutti? Per la prima volta, io, una pacifista, mi sono portata dietro una pistola».
L’ingresso del kibbutz è sprangato da un cancellone in ferro dipinto di giallo presidiato da guardie armate. I blindati dell’esercito servono in caso di emergenza. Cesare, con al collo il simbolo della Roma, squadra del cuore, e fucile mitragliatore a tracolla spiega che «dormiamo poco da giorni. Suonano le sirene per i lanci dei razzi di Hezbollah, che usano anche armi anti carro». Al polso ha un laccetto tricolore e l’accento romano è inconfondibile: «Posso solo dirti che da queste parti non si arrende nessuno. È la nostra casa e non ci muoviamo».
I timori di tutti è che un’operazione terrestre a Gaza scateni la reazione di Hezbollah, partito armato sciita ben più organizzato e armato di Hamas, con un arsenale di almeno 130mila missili. «Hanno scavato un gruviera di tunnel, che sono stati pure scoperti in alcuni casi - osserva Luciano Assin -. Pianificano di invaderci spuntando da sottoterra».
Il milanese di nascita ci porta a casa per farci vedere la stanza blindata. «Quando lanciano i razzi mi chiudo dentro e blocco la maniglia se i terroristi riuscissero a infiltrasi dentro il kibbutz. Questa ventola particolare serve per filtrare l’aria in caso di attacco batteriologico», spiega come se fosse normale mettere nel conto le armi di distruzione di massa.
Poi tira fuori il cellulare per farci vedere la mappa del rischio, con vari colori, di tutta Israele. «Il nord, nell’area di confine, è zona rossa osserva -. Significa che quando suona la sirena abbiamo praticamente zero secondi per metterci in salvo. I lanci di Hezbollah sono troppo vicini».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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