Le linee rosse violate da Hezbollah e il rischio di una guerra col Libano: cosa può succedere

La strage nel Golan alza la tenzione nel Sud del Libano e soffiano venti di guerra. Dalle parole di Netanyahu al ruolo dell'Iran. Cosa può succedere: lo scenario

Le linee rosse violate da Hezbollah e il rischio di una guerra col Libano: cosa può succedere

"Hezbollah pagherà un prezzo alto" è quanto dichiarato la premier Benjamin Netanyahu dagli Stati Uniti, ove era in visita, appresa la notizia dell'incursione notturna di Hezbollah contro la cittadina di Majdal Shams che ha causato 12 morti. Netanyahu si è poi imbarcato su un volo dalla base aerea di Andrew, Washington, per far subito ritorno in patria, anticipando il rientro e convocando il gabinetto di sicurezza.

Allarme conflitto

Rassicurazioni a parte il rischio di un allargamento della guerra contro Hamas è reale. Israele ha subito replicato ai razzi lanciati su Majdal Shams con un' incursione aerea contro depositi d'armi a Chabriha, Borj El Chmali, Beqaa, Kfarkela, Rab El Thalathine, Khiam e Tayr Harfa come riporta Ansa. Intanto i vertici militari avrebbero già sottoposto al ministro della difesa Yoav Gallant un piano per rafforzare la difesa nazionale.

Piano che, secondo una nota dell'ufficio di Gallant, si è tramutato in linee di condotta e di comportamento trasmesse al comparto difesa. Nel frattempo la radio dell'esercito israeliano e la tv libanese al Manar riportano dati contrastanti sulla risposta dell'Israeli Air Force: su Chebba, secondo l'emittente; su diverse località sud-libanesi stando alla televisione controllata da Hezbollah e come confermato dai media internazionali.

Lo scenario e i dubbi degli Usa sul nuovo fronte

Le scaramucce di confine, lungo la Blue Line fra Israele e Libano, non si sono mai interrotte dopo l'invasione del 2006 ed il conseguente rafforzamento del mandato ONU nel sud del Libano.
Negli ultimi dieci mesi vi è stata però una recrudescenza: Hamas è infatti sostenuta da Hezbollah. Hezbollah è a sua volta sostenuto dal potente alleato iraniano la cui posizione anti israeliana non è nota e netta. Israele è dunque consapevole di non potere fermare Hamas senza prima neutralizzare le forze Hezbollah.

L'avvicinarsi del primo anniversario dell'assalto palestinese e la situazione di stand by in cui si trova il mondo, faciliterebbero inoltre l'eventuale azione militare di Tel Aviv. Mentre, infatti, da Washington fanno sapere che il sostegno ad Israele non verrà mai meno, gli USA (e l'Europa) sono ora molto attenti all'evolversi della situazione politica statunitense. Da un lato Donald Trump, sostenitore tout court di Tel Aviv e agguerrito sfidante repubblicano dell'amministrazione uscente, dall'altro Kamala Harris, volto giovane e risoluto dei democratici, forte di un largo consenso del jet set internazionale, ma costretta a muoversi in bilico fra le esigenze della politica estera americana (gli Usa sono uno storico alleato di Israele) e le rivendicazioni delle migliaia di manifestanti pro-pal, in larga parte giovani e universitari tradizionale bacino elettorale del partito democratico.

Vi è poi la non meno delicata questione russo-ucraina il cui stallo delle operazioni e le cui difficoltà a raggiungere un accordo mettono a dura prova i nervi della diplomazia internazionale.
Dunque, se aprirsi troppo a Netanyahu significa perdere le simpatie di settori dell'elettorato, dall'altro contestare la linea di Israele vuol dire fornire un assist all'Iran e allo stesso Putin, più vicino alle posizioni iraniane. Situazione più che favorevole allo stato ebraico per muovere guerra, per la terza volta, nell'area dopo il 1982 ed il 2006.

Il Libano tra fragilità e nazionalismo

Seppure militarmente meno forte, l'eventualità di un conflitto con Israele potrebbe essere già stata affrontata e approfondita anche da Beirut. Il Paese è infatti finito in default nel 2020, indebolito da un debito da 90 miliardi di dollari pari al 170% della sua produzione economica (fonte Maeci). Altissima la disoccupazione passata dal 30% del 2022 a oltre il 40, con picchi percentuali peggiori proprio in quel sud controllato da Hezbollah.

Orientare l'esasperazione popolare (rafforzata dalla sedimentata avversione per Israele) verso la guerra sposterebbe quindi l'attenzione dei libanesi dai problemi interni, esortandoli altresi a ritrovare unità nel contrastare un nemico comune. Certo, il conflitto avrebbe esiti disastrosi, mandando anche a monte l'ormai decennale attività diplomatica svolta, nel sud ovest del paese, dai militari italiani della Joint Task Force Sector West di UNIFIL. Le Libanese Armed Forces non sono infatti in grado di reggere il confronto con Israele, come già dimostrato in passato. Ma l'influenza politico-militare di Hezbollah è forte come forte è il nazionalismo libanese, alimentato da fattori storici, culturali e religiosi.

Il possibile ruolo dell'Iran

L'eventuale invasione da sud delle forze israeliane porterebbe il Libano alla capitolazione in poco tempo aprendo, tuttavia, la strada ad un intervento militare iraniano, principale sponsor di Hezbollah e di Hamas. Per Teheran si tratterebbe infatti di una questione più geopolitica che religiosa, visto che il Libano rappresenta la sua piattaforma di influenza nel Mediterraneo Meridionale. E perderla avrebbe conseguenze dure sulle capacità di manovra in politica estera nonché sull'immagine di un regime teocratico scosso anch'esso da durissime proteste interne.

Una guerra fra Tel Aviv e Beirut apparire be quindi inevitabile.

D'altro canto pure Netanyahu si ritrova a dover fare i conti con un dissenso crescente e solo in parte calmierato dalla promessa di liberare tutti gli ostaggi ancora in mano palestinese e di annientare Hamas. E per fare questo l'unica soluzione è attaccare il Libano, perché Hezbollah non starà certo con le mani in mano, osservando Hamas sconfitta sul campo.

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