Grande trambusto in Europa e nel mondo. Berlusconi è caduto, si è dimesso, anzi no è caduto in un’imboscata, anzi no in un voto di sfiducia. Una pattuglia di ultrafedelissimi col coltello in bocca lo ha colpito con le solite ventitré coltellate d’ordinanza: «Tu quoque Stracquadanio?».
Bene, trambusto, Napolitano si rende conto (è la settantunesima volta) che la situazione è catastrofica, bisogna fare prestissimo, bisogna chiudere ieri mattina, bisogna saltare le procedure, i pasti, le convenzioni e correre in Europa con idee chiare, conti in tasca, cambiali, promesse da mantenere, leggi, decreti e anche una bozza di letterina per l’imminente Natale. Un due e tre, chi non ha fatto resta a me, viene nominato primo ministro Pier Giorgio Bersani uno e trino per via del patto di Vasto, che è un accordo angusto ma a tre punte. La signora Bersani veste il marito che domani va in un luogo molto importante che si chiama Europa, dove lo aspettano come in un racconto di Harry Potter una ventina di funzionari banchieri travestiti da corvi e tutti, dico tutti i capi di Stato, governo, agenzie di rating, osservatori cinesi indiani brasiliani e russi, più il piedistallo di cristallo con sopra appollaiati Angela Merkel e Nicolas Sarkozy ancora irritato perché Obama seguita a dirgli che sarebbe un guaio se Giulia, la piccola appena nata, somigliasse a lui anziché a Carlà. E insomma Pier Luigi Bersani si mette in tiro, del resto è un uomo naturalmente elegante, si mette in viaggio, decolla e atterra con manovra impeccabile, scarta le auto blu e i taxi per dare di sé un’immagine pulita e sobria, arriva correndo e con la lingua di fuori all’appuntamento con l’Europa in un grande tendone appositamente allestito per l’evento costituito dall’arrivo di Mister Postberlusconi. Così lo chiamano. Abbreviato: «Mr. PB». Lui avverte subito: «Mi chiamo Pier Luigi Bersani» e tutti gli chiedono come l’ha presa PB, che fa PB e così via.
La Merkel lo saluta con un sospiro e gli chiede, attraverso un interprete prussiano-emiliano, se è pronto a portare le pensioni a 67 anni come accade ai lavoratori tedeschi. Bersani si butta sul generico appassionato: «Noi adesso siamo pronti a fare la nostra parte, il Paese è consapevole di dover compiere dei sacrifici...».
La Merkel sorride e poi con il suo tipico accento del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, gli dice: «Herr Post Essebbì...». Bersani si toglie la giacca e si mostra in maniche di camicia come da manifesto, operoso e ricco di proposte taglienti: «Ma dove andiamo? Ma insomma, ma qui bisogna darci un taglio e fare le cose giuste, non si può seguitare così...».
Lo sguardo gelido di Sarkò lo pietrifica come la Medusa: «Vous pensez m’sieur que la petit Giulia ressembles plus à moi ou à Carlà?».
Bersani si sente preso di contropiede: «Lo chieda a Renzi, che sa sempre tutto lui. Per me va bene tutto... non ho problemi... siamo pronti a discutere».
La Merkel fa un sorriso da basilisco: «Ci dica delle pensioni: 67 anni subito come i lavoratori tedeschi? Siete pronti a creare nuovi posti di lavoro anche a costo di scrostare i parassiti improduttivi?».
«Be’, allora - suda Bersani - queste sono cose che poi vediamo in un secondo tempo, no? Ci sediamo intorno a un bel tavolo con le parti sociali...».
«NEIN!!!» urla la Merkel sbattendo i tacchi delle sue robuste scarpe. «Nein», ripete poi con un sorriso freddo ma a 32 denti: «Niente tavolo, niente aspetta, niente parti sociali, niente domani. Herr Bersani, sì o no?».
«Così, subito? - mormora il post SB - Magari prima facciamo amicizia, ci facciamo le coccole, prendiamo un buon Sangiovese, e lì...».
«Solo champagne francese» si inalbera Sarkò che non ha avuto soddisfazione sulla faccenda della somiglianza con la sua bambina. E poi dice a denti stretti: «M’sieur, qui ci siamo già abbastanza lessati le palle...».
«Bitte?» si scandalizza la Merkel
«Linguaggio della banlieue, Angelicà, signor Bersani, entro quante ore siete disposto a tradurre in legge quello che vi chiede l’Europa?».
Bersani chiede un cuscino per la sua poltrona in ferro battuto su cui lo hanno sistemato per farlo sentire a disagio e dice che deve sentire Di Pietro e Vendola. E anche Casini, Fini, Bassolino, D’Alema, Fassino e Veltroni, senza trascurare Enzo Visco.
Gelo sotto il tendone europeo. «Dunque, sibila la Merkel, lei ha bisogno di tempo e di sentire un sacco di gente. E che cosa pensano questi Vendola e Di Pietro? Di Pietro è quello che ha parlato di macelleria sociale?».
«Ah, eh eh, scherzava, Antonio ha un temperamento paesano e...».
Sarkò vorrebbe che l’Italiano lo rassicurasse sulla somiglianza di Giulia con lui, ma ripiega sul concreto: «Lei è d’accordo con madame Lagarde secondo cui di voi italiani non c’è mai da fidarsi qualsiasi cosa promettiate?».
Bersani risponde che lui è una persona seria, che i suoi alleati sono persone serie e che persino Crozza, in un certo senso, è una persona seria specialmente quando fa la sua imitazione. I volti arcigni dell’Europa unita e disunita dimostrano ulteriore freddezza.
Le borse hanno uno spasmo. Lo spread spernacchia verso l’alto come un palloncino senza lo spago. Bersani capisce che questi vogliono da lui l’abiura: la macelleria sociale, le pensioni a settant’anni, una riforma radicale della giustizia che permetta alle imprese di ottenere sentenze rapide e precise. Suda freddo. Sarkò sta sussurrando qualcosa sur les italiens, qui sont toujours comme ça, cominciano la guerra da una parte e la finiscono dall’altra, guarda tu Bini Smaghi che non schioda neanche con le cannonate.
«Lei saprebbe far schiodare Bini Smaghi?» chiede senza pensarci troppo Sarkò a Bersani.
«Mica posso ammazzarlo, dipende da lui».
«Visto?» dice Sarkò alla Merkel, tale e quale a quell’altro, le Berluscòn.
«Ma no che non sono uguale!» grida sdegnato Bersani: «È un altro stile, siamo persone serie, noi, giriamo senza giacca, noi, abbiamo gli occhiali e non facciamo feste scollacciate, noi, veniamo da un grande passato e speriamo ancora nel futuro, noi...».
«Jawol dice la Merkel: ma ci garantite pensioni tardi, basta con quelle di fasulle, basta con i concerti fra parti sociali, basta trucchi, basta imbrogliucci all’italiana...».
«Rinunci a Satana?!». Urla improvvisamente Sarkò.
«Devo pensarci», mormora un Bersani raggrinzito e con l’entusiasmo a scartamento ridotto.
«Ha tempo fino a domattina», dice la Merkel.
«Devo vedere Di Pietro, Vendola, Fini Casini Rutelli...».
«Auf wiedersehn» dice Sarkò per battere sul tempo la Merkel.
«Au revoir» dice la Merkel per tener testa a Sarkò.
«Penso
che Giulia somigli di più alla mamma» dice Bersani.«Les italiens sont comme ça», sbuffa Sarkò che si prende sotto braccio la Merkel e se ne va. Poi si gira e sussurra all’uomo nuovo venuto dall’Italia: «Rien ne va plus».
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