
Studioso di Dante, di Shakespeare, della Bibbia e del mito, accademico dei Lincei, Piero Boitani ha insegnato Lingua e letteratura italiana a Cambridge e Letterature comparate alla Sapienza di Roma. A Firenze, per la rassegna «Testo» (sabato 1 marzo, ore 15) racconterà perché «I Classici siamo noi», a partire dal suo libro Il grande racconto dei classici (il Mulino, pagg. 488, euro 45).
Professor Boitani, perché quello dei classici è un «grande racconto»?
«I classici, che hanno occupato circa mille e cinquecento anni della nostra storia, fra il X secolo avanti Cristo e il V-VI dopo Cristo, sono stati una civiltà avanzatissima, che ci ha lasciato rovine materiali incredibili, ma anche monumenti letterari e poetici fuori dal comune, all'origine dei nostri. I classici sono i diretti antenati di tutto ciò che abbiamo scritto successivamente: non abbiamo fatto altro che riscrivere quello che avevano scritto loro».
Per esempio?
«L'Iliade è stata riscritta in poesia e in prosa moltissime volte, soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove gode di grandissima popolarità. E si capisce perché. È un poema di guerra, la prima cosa che l'uomo fa e sa fare... Siamo animali bellici, guerreschi».
E così il primo poema...
«È un poema di guerra. E che guerra: dura dieci anni ed è uno scontro di civiltà, un conflitto mondiale fra l'ovest greco e l'oriente troiano, uno scontro di mondi».
Per che cosa si combatte?
«Non per l'accesso ai Dardanelli, che è roba da Churchill, no: l'osso del contendere è possedere Elena, cioè la bellezza assoluta, maledettamente simile a una dea dice Omero, perché la bellezza è una benedizione e una maledizione insieme».
Dove nascono i classici?
«Ad Atene, nel V-IV secolo avanti Cristo. Nascono la storia, con Erodoto e Tucidide; la filosofia, con i presocratici, i sofisti e poi Socrate, Platone e Aristotele; la medicina, con Ippocrate; la tragedia, con Eschilo, Sofocle ed Euripide. Qualcosa deve essere successo, nell'Atene di Pericle... Uno scoppio di genio, come nel Rinascimento».
Quale filo conduttore segue questo Grande racconto?
«Innanzitutto, dentro ci sono solo cose che amo. Poi ho seguito certi filoni: i principi, gli inizi di ogni genere. E ci sono personalità rilevanti e affascinanti, come Augusto e Marco Aurelio, l'Imperatore filosofo, il simbolo di Roma: ricordo ancora la processione di romani a piedi che seguì la sua statua, che si trovava nella piazza del Campidoglio, quando fu portata in restauro. È il cuore di Roma, che è un'invenzione grandiosa, dal punto di vista dell'immaginazione e della realtà storica».
Dei vari filoni, quali influenzano di più il nostro immaginario occidentale?
«Tutti. Dipende dalle inclinazioni del singolo. Se uno ama le liriche, allora i frammenti dei greci, Saffo, Alcmane, Pindaro, e i latini con Virgilio, Orazio... Poi c'è un tema fondamentale come la giustizia, affrontato da Eschilo: nell'Orestea vigeva ancora la legge del taglione ma, alla fine della tragedia, Atena impone un processo all'Areopago e si vota, chi a favore e chi contro Oreste. La giustizia non è più questione di vendetta, bensì di processo. Non è poco... Oppure la tragedia della conoscenza».
Socrate?
«Prima ancora, Edipo, uno degli eroi della conoscenza: il sapere ha un prezzo spaventoso, non si ottiene senza soffrire. E poi Socrate, che non sfugge alla morte ed è il primo filosofo martire, a cui seguiranno Seneca, Boezio... Anche la filosofia, l'amore per il sapere, costa caro».
L'Odissea è il primo romanzo della storia letteratura?
«Sì. È un romanzo, epico, in teoria narrato dallo stesso autore dell'Iliade, ma in mezzo ci sono sessanta o settant'anni, quindi in pratica da un altro; anche se è bello pensare che l'Iliade sia opera di un Omero giovane, agonistico e l'Odissea di un Omero vecchio. E l'Odissea è la storia, avventurosa, del ritorno in patria di uno dei più importanti guerrieri greci, quello che ha distrutto Troia».
Che cosa c'è in questo primo romanzo?
«Di tutto. Attraversando l'Egeo entriamo in un mondo non più reale ma immaginario, fatto di mostri, di oblio, di incantatrici: un mondo fantastico, che ammalia anche chi ascolta Ulisse. Canti come un aedo gli dicono i feaci. E le sirene, bellissime, anche se poi sono degli uccellacci orrendi, che sanno tutto, come le Muse. Fino all'incontro con Penelope. È un grande romanzo che finisce bene: è la ricerca della felicità, che è la moglie, tornare a casa, la patria, rivedere il proprio padre... È il poema della pace riconquistata. Ecco Guerra e pace di Tolstoj: l'Iliade e l'Odissea».
Un classico che cos'è? È facile a dirsi?
«Non è facile. La parola stessa è inventata - pare - nel II secolo d.C. da Aulo Gellio, che la usa in termini economici: classicus è chi appartiene alla prima classe, cioè, dal punto di vista fiscale, chi possiede di più. Poi la ritroviamo in riferimento alla letteratura: un autore classico è un non proletario, uno che ha mezzi potenti».
E poi?
«Col tempo le cose cambiano, perché muta il canone: ai classici antichi si aggiunge la Bibbia, poi arrivano i poemi cristiani e barbarici, la Chanson de Roland, le letterature moderne, l'Ottocento con i suoi classici. Ma i superclassici sono quelli dell'antichità: i nostri antenati diretti, perché tutto viene da lì. Si pensi alle varie rinascite, dal Medioevo in poi: rinascite di che cosa? Di quello che era il mondo classico, con i suoi ideali».
Lei si chiede nell'introduzione: perché leggere i classici oggi, anziché un saggio che provi a spiegare la realtà contemporanea?
«A parte che una lettura non esclude l'altra, il classico ha il vantaggio che, come diceva Calvino, ogni volta che lo leggi scopri qualcosa di nuovo. E poi che si adatta alla situazione, perché i classici sono diventati grandi attraverso i millenni. Anche se, come scriveva il mio grande amico Derek Walcott, poeta premio Nobel, i classici possono consolare, ma non abbastanza».
Ha studiato e insegnato nei Paesi anglosassoni: è vero che sono all'avanguardia nella classicistica?
«Hanno ormai rimpiazzato i tedeschi. Le loro scuole di specializzazione sono fra le migliori al mondo. Io dirigo anche la Fondazione Valla e, per le curatele delle opere, mi rivolgo a studiosi italiani, inglesi e americani. Ma succederà presto anche con i cinesi».
Anche i cinesi sono interessati ai classici?
«La classicità è un fenomeno unico anche per loro e vogliono conoscerlo.
Hanno una civiltà molto antica, bellissima, un'arte meravigliosa. Ma, per esempio, non hanno inventato la prospettiva... Il mondo va così... I classici attirano. Quando racconti l'Odissea agli studenti, ancora oggi la storia li affascina e li sbalordisce. Funziona ancora».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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