I fedelissimi tirano il freno a mano «Ora basta con le fughe in avanti»

RomaAvevano scelto «La Capricciosa» per siglare l’arruolamento e sancire la fedeltà assoluta al capo, pure in caso di fuoriuscita dal Pdl. Perlomeno, sembrava questa in un primo momento la loro intenzione. Invece, per sviare (senza successo) taccuini e telecamere, si attovagliano a pranzo da «Clemente». E lì - sarebbe ingrato pur se gustoso trovare una motivazione politica nel nome del ristorante - i senatori più vicini a Gianfranco Fini, a cui esprimono «solidarietà» per gli «ingenerosi giudizi» piovutigli addosso, tirano il freno a mano. Ben venga infatti l’approfondimento e la «discussione attenta» sulle «questioni» importanti poste al premier dal presidente della Camera, ma nessuno parli di «scissioni ed elezioni anticipate». «Escalation» incomprensibile «per noi e per l’opinione pubblica, che si aspetta invece una fase più incisiva dell’azione del nostro governo».
«Per noi» sta per i 14 parlamentari ex An, di stanza a Palazzo Madama, che sottoscrivono il documento consegnato a stomaco pieno ai cronisti. In cui si conclude che «bisogna riportare il confronto su un piano costruttivo, isolando quanti, più o meno consapevolmente, stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl». In bella mostra le firme, anche quelle di chi non è presente per colpa della nube islandese: Laura Allegrini, Andrea Augello, Mario Baldassarri, Cesare Cursi, Candido De Angelis, Egidio Digilio, Maria Ida Germontani, Giuseppe Menardi, Antonio Paravia, Franco Pontone, Maurizio Saia, Oreste Tofani, Giuseppe Valditara, Pasquale Viespoli.
Tutto chiaro? Nì. L’unica certezza è che si media sotto traccia per trovare una soluzione che accontenti tutti, come fa intendere Gianni Alemanno: «Stiamo lavorando affinché ci sia una ricomposizione e, alla fine, il Pdl rimanga unito». E ci si muove parecchio per evitare che Fini vada magari incontro ad una figuraccia - qualora le adesioni siano inferiori a quelle sbandierate - garantendogli lo spazio dovuto alla direzione nazionale di giovedì, quando spiegherà agli italiani la sua posizione, aprendo «un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl».
E dove si potrebbe arrivare all’approvazione di una sorta di patto rifondativo, un documento unitario che «sarebbe molto importante», per dirla con Viespoli, per sancire una nuova fase, non più legata allo schema iniziale 70-30, ma rimodulando il partito in maggioranza e minoranza. Entrambe da rispettare. Si guarda pure al Congresso del prossimo anno, ma da qui a rimettere mano a cariche di partito e governo ce ne passa, vista l’assoluta chiusura mostrata dal premier. Non avrebbero quindi speranza i desiderata che circolano tra i finiani: si chiede la testa di Maurizio Gasparri e non si disdegna quella di Ignazio La Russa, per inserire fedelissimi «meno berlusconizzati». Scenari che s’incrociano con le voci di un cambio al vertice a Montecitorio: sarebbe in partenza Fabrizio Cicchitto, direzione governo - ipotesi, va detto, sempre smentita in maniera netta dal diretto interessato - al cui posto arriverebbe Antonio Leone (non più Maurizio Lupi). Rumors.
Ma torniamo a bomba. Perché nonostante Fabio Granata continui a dire che «non si è ricomposto alcun quadro» e che «non c’è alcuna retromarcia» sull’ipotesi gruppi autonomi del Pdl Italia - Klauscondicio gli attribuisce pure una dura dichiarazione contro il presidente del Senato («nel minacciare elezioni anticipate Schifani ha pisciato fuori dal vaso»), subito smentita però dal deputato siciliano - la sensazione è che i falchi siano stati un po’ isolati. Si profila una spaccatura tra finiani? Spiega Viespoli: «Fini ha avviato il dibattito per proporre un confronto in direzione. Si lavora nel merito delle questioni e mi lasciano perplesso tutte le fughe in avanti». Il sottosegretario al Lavoro non lo nomina, ma ai presenti è evidente il riferimento a Bocchino, citato dai giornalisti. Come la mettiamo con chi insiste sui gruppi autonomi? «Mi auguro siano solo più realisti del re». Ancora frecciatine a distanza tra campani. «Mentre Fini ha Fabrizio Alfano come portavoce, non mi risulta che i finiani ne abbiano nominato uno. Mi sbaglio?».

Viespoli non si sbaglia. A detta sua non lo fa neppure quando assicura: «I numeri per fare un gruppo a sé ci sarebbero, ma non è questo il punto». E figuriamoci se il problema sia l’organigramma: «Quello viene dopo». Sarà.

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