I giornalisti stranieri urlano al regime Poi vìolano la nostra Costituzione

RomaAd un tal circolo di gentiluomini, a questo soviet d’antan, a siffatta loggia illiberale, Repubblica va sollecitando una «posizione comune» - riecco la solita raccolta di adesioni al solito «manifesto» di sinistra memoria - contro il premier e i suoi tormenti sessual-famigliari? Se ci son buoni maestri del predicar bene e non razzolare altrettanto, vanno cercati proprio nell'Associazione della Stampa Estera. Volete un esempio di come scialino il denaro pubblico (nostro beninteso), di quanto rispettino i tribunali italiani, dello spirito di casta in cui si avvolgono? Gustatevi questa storia, per niente segreta, mai raccontata ai loro lettori né tanto meno dai loro amici italiani.
Tutto inizia nel 2006, quando alla stampa estera si devono rinnovare le cariche sociali. A correre per la presidenza sono in due: Tobias Piller della Frankfurter Allgemeine Zeitung, e Yossi Bar di Yedioth Ahronoth. Dall’urna esce lo stallo: i due hanno rastrellato 43 voti ciascuno. La contesa si trasferisce nel direttivo, 12 persone. Volano accuse di attentato allo statuto, e si riapre la campagna elettorale. Yossi Bar confida ai colleghi italiani, e qualcuno lo scrive pure, che i tedeschi non vogliono un presidente israeliano. Sembra una bega tra frati, ma non va dimenticato che la carica è prestigiosa e spalanca molte porte, oltre alla ricca cassa: unico al mondo, il governo italiano finanzia l’associazione della stampa estera con più di 700mila euro all’anno. Avete capito bene, un miliardo e mezzo di vecchie lire che se andassero all'Abruzzo sarebbe meglio per tutti.
La faccenda rischia di degenerare, e si decide di chiuderla dando la presidenza a Yossi Bar e ben consolando Tobias Piller. Qualcuno però, non ci sta. Eric Jozsef, ex presidente dell'associazione, che avendo additato il vulnus allo statuto si vede accusare di antisionismo (pur essendo ebreo, e col nonno ammazzato ad Auschwitz) per aver invitato a tenere una conferenza stampa Tareq Aziz, il ministro degli Esteri di Saddam Hussein quando era venuto in udienza dal Papa, sbatte la porta e abbandona l’associazione: eppure è di sinistra seria e irriducibile - assai più di Marcelle Padovani, vedova di Bruno Trentin - senza un briciolo di simpatia per Berlusconi. Menachem Gantz, corrispondente di Maariv, schifato da quanto avviene e per l’uso spregiudicato che vede fare dell’accusa di antisionismo, minaccia di rivolgersi al nostro ministero degli Esteri. Nessuno se lo rifila, e lui scrive davvero alla Farnesina, denunciando tutto il marcio che c’è in Danimarca. Come nel Pci di Togliatti e Berlinguer, il direttivo si riunisce e commina all’israeliano d’opposizione la sospensione per sei mesi, anche se la sua lettera è rimasta senza effetti.
Tra gli schifati però, c’è anche Ariel Dumont, che scrive per France Soire e alcuni settimanali francesi. Per protesta e affinché tutti i soci sappiano, Ariel prende una copia della lettera di Gantz e la affigge in bacheca. Lestamente gliela tolgono. Lei la rimette. Si riunisce il direttivo presieduto da Yossi Bar e sospende pure lei, senza nemmeno convocarla. È il 20 settembre 2006, la presa di Porta Pia. La Dumont, donna tosta che non s’arrende facilmente, va dall’avvocato e si rivolge al tribunale civile di Roma.
Come volevate che finisse? Anche un ragazzino avrebbe scommesso sulla Dumont, perché quei metodi nemmeno più a Cuba si usano, giusto in Birmania; e fanno specie in una congrega di giornalisti avvezzi a tuonare contro la «dittatura» imposta al popolo italiano dal Cavaliere nero. L'8 febbraio 2008 infatti, il tribunale condanna l'Associazione Stampa Estera in Italia perché la sospensione della giornalista francese «viola i principi costituzionali». La sentenza intima l'annullamento della sanzione disciplinare e il risarcimento dei danni nella misura di 25mila euro, più 7mila di spese.
E qui viene il grottesco, l’incredibile da chi si strappa le vesti perché «Berlusconi non rispetta la magistratura». Invece di chinar la testa e chiedere scusa, il presidente Tobias Piller, nel frattempo succeduto a Yossi Bar, convoca l'assemblea generale dei soci che espelle del tutto Ariel Dumont, colpevole di aver fatto ricorso alla giustizia «esterna» e di aver tradito lo spirito di casta. L’associazione si rifiuta di risarcirla, e presenta ricorso. Ma per dimostrare che la «traditrice» non ha subito alcun danno, giunge a far scrivere dai propri avvocati che «per esercitare la professione di giornalista non è affatto necessaria l’iscrizione all’associazione stampa estera, né tanto meno l’utilizzo delle sue strutture».

Ma se è così, che ci stanno a fare? E perché i contribuenti italiani devono continuare a mantenerli?
In breve: il giudice ha dovuto bloccare i conti correnti dell’associazione, per costringerli a pagare quei 32mila euro che chiunque con un po’ di sale in zucca avrebbe tranquillamente risparmiato. Stessa strada, stessa osteria... Tanto paga Pantalone. Il nostro, ovviamente.

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