Torino. Ai primi del '900 la peste dilaga e avvelena anche le coscienze nell'isola di Mingher, «perla del Mediterraneo orientale», nata dall'immaginazione di Orhan Pamuk. Il nuovo romanzo, storico e allegorico, del Premio Nobel 2006, Le notti della peste (Einaudi), ricrea un mondo che parla al nostro presente come solo la grande letteratura sa fare. In quell'isola cristiani e musulmani cercano di convivere, ma la peste accelera le tensioni. La narrazione si muove tra sultani, principesse, pascià e burocrati. Le esistenze dei singoli sono travolte dalla Storia, e il particolare si apre all'universale. Abbiamo incontrato l'autore, denunciato nel suo Paese a causa di questo suo libro per vilipendio al padre della patria Mustafa Kemal Ataturk, ospite della manifestazione «Torino Spiritualità».
Il libro è una metafora perfetta del nostro mondo.
«Il mio libro è una metafora o un'allegoria di ogni governo che diventa autoritario durante una pandemia. In queste situazioni accade che la popolazione ha due comportamenti contrapposti. È arrabbiata e in maniera paranoica chiede al governo di fermare l'epidemia. Ma poi quando il governo prende le misure il popolo inizia a chiedere il contrario, perché questa situazione di limitazione comporta problemi: i negozi chiudono, i ristoranti chiudono».
In che modo il potere sfrutta le nostre paure?
«Alcuni governi abusano del loro potere, ma è anche vero che la gente comune impone egoisticamente il proprio punto di vista».
Quali sono i limiti della fede e della ragione che l'uomo può sperimentare?
«La fede e la ragione non hanno limiti. Ma la fede può diventare ragionevole, e la ragione una fede. Il marxismo per esempio è diventato una sorta di fede. Non penso ci sia un limite al pensiero umano, ma ci sono limiti all'organizzazione di ogni forma di espressione. Ci sono i confini, ma l'immaginazione umana, il credere nella scienza e nella fede sono infiniti».
Sulla base degli ultimi sviluppi della politica internazionale, cosa può ancora avere l'Asia in comune con l'Occidente?
«Hanno in comune l'umanità, la musica, la letteratura, l'arte. Io ho scritto libri ambientati a Istanbul, sulle tradizioni turche, ma i miei libri sono tradotti in 64 lingue, e li leggono, li capiscono anche altrove. Montaigne per esempio ha scritto sull'amicizia, ma non sull'amicizia francese, o sull'amicizia aristocratica, bensì sull'amicizia universale, a prescindere dalla religione. Questo è ciò che fa la letteratura e questo dimostra che c'è un legame fra tutta l'umanità. Poi c'è il nazionalismo che esacerba le differenze... Ma io credo nella modernità, nella fratellanza. Solo così è possibile la letteratura».
Qual è il più grande ostacolo al dialogo tra Turchia ed Europa?
«Non ci sono grandi ostacoli. Anche se bisogna ricordare che la Turchia non è un Paese industrializzato, è un Paese povero, non è una democrazia compiuta e soprattutto negli ultimi cinque anni non c'è stata libertà di parola. La Turchia è geograficamente in Europa, ma deve rispettare i propri doveri etici».
La Turchia ha ormai perso la sfida di trovare un equilibrio tra modernità e tradizione?
«I miei libri sono sul ricreare un equilibrio fra la tradizione Ottomana, quella mistica sufi, l'arte. E se si mette tutta questa cultura assieme alla tradizione occidentale, quella americana post-moderna, io penso che Est e Ovest possano camminare insieme».
Quali sono i suoi scrittori di riferimento nel passato e oggi?
«Tolstoj, Dostoevskij, Proust, Mann, oppure più contemporanei Borges, Nabokov, Calvino».
Quando ha deciso di diventare scrittore?
«Volevo diventare pittore, ma poi capii che il mio destino era fare lo scrittore».
Perché ha questa fame di storie e perché l'hanno i lettori?
«La vita a volte è noiosa e l'immaginazione ha bisogno di meglio. Poi la letteratura, come tutta l'arte, è un gioco, come quelli dei bambini. Il libro è come una piccola vita e attraverso di esso, attraverso questa miniatura, comprendiamo anche meglio la vita. L'amore, l'ambizione, la gelosia... Poi con un libro vogliamo vedere il mondo con gli occhi di un altro, da un angolo differente. Ogni libro è fiction, ma non totalmente fiction. Tramite l'invenzione rappresenta il nostro mondo. Hemingway la mattina si svegliava per andare al lavoro e osservava i fiori, e questo era un pieno di gioia, di vita. Poi tramite la letteratura possiamo tollerare di più la vita».
Qual è il segreto di una scrittura poetica?
«I libri sono una combinazione di poesia e progetto. Ci sono pagine piene di logica, razionali, in molte parti parlano anche i fatti».
Che cos'è il male?
«La creazione letteraria ha bisogno di un demone. Ma io attraverso i miei libri voglio che l'uomo capisca il male, voglio descriverlo in modo umano. Per questo sono stato criticato negli Stati Uniti...».
Poesia e malinconia, l'hüzün, sono inseparabili?
«La malinconia è piena di possibilità di poesia, ma non è detto che un uomo triste sia un buon scrittore».
Istanbul è il suo paesaggio
interiore?«È il centro della mia vita! Gustave Flaubert scrisse delle lettere da Istanbul a un suo amico e disse: Istanbul diventerà il centro del mondo nei prossimi 100 anni, ma non accadde. Forse lo sarà nei 100 che verranno!».
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