«Ascoltate la storia», «Che arrivi la storia!», «La storia arriva, arriva da lontano»: da un luogo remoto, dal continente africano, dal patrimonio di storie raccolte da etnografi e missionari per soli scopi documentari, e che nelle pagine di Blaise Cendrars divengono materia viva, «bruciante» come lo pseudonimo che lo svizzero Frédéric Sauser si sceglie una volta giunto nel rutilante, variegato mondo delle avanguardie parigine. Cendrars, «braci»: e che sia, la sua, una scrittura ustionante, e sempre rinnovantesi «perché scrivere significa bruciare vivi, ma anche rinascere dalle proprie ceneri», ripeteva.
Un mito della Fenice non estraneo alla riscrittura delle leggende africane che Cendrars fa con i suoi Petits contes nègres pour les enfants des blancs, ora pubblicati per la prima volta in italiano nella traduzione di Annalisa Comes (Piccole storie negre per i bambini dei bianchi, Donzelli, pagg. 189, euro 21,90). La bella edizione riproduce la princeps di Au Sans Pareil (glorioso editore della Littérature di Breton e Aragon e di tante opere dei massimi scrittori del periodo) del 1929, comprese le riproduzioni delle tavole di Pierre Pinsard, giovane artista della medesima cerchia.
Con questo libro (e, poco prima, la grande Anthologie nègre, 1921), l'allucinato, estroso compilatore di resoconti di viaggio veri e falsi, o delle vicende di utopistici avventurieri (Lor o Rhum), fino alla lautréamontiana «grande belva umana» di Moravagine (Mort/Ravage/Vagin), apre la strada al successivo erompere, in diversi ambiti, dellinteresse per la «negritudine».
Sono, nonostante il titolo, storie per adulti, che vengono introdotte da uno stile avvolgente nelluniverso prodigioso dei miti di creazione, i cui personaggi sono le personificazioni di elementi e fenomeni naturali, come nel bellissimo racconto del vento, «figlio della Luna e del Sole», il vento inquieto, pazzerello e vorace, che tutto ramazza e tutto divora, non riuscendo a placare la propria fame; e che infine si abbatte sulle vaste distese di sabbia, condannato ad uneterna solitudine; o laltro, serio e spassoso al contempo, della Stregona, lombra «vagabonda e ballerina» e muta («Non parla mai. Ascolta. Si va a sistemare proprio dietro al cantastorie»), vigile e sempre in agguato sui sonni degli uomini: «Lombra è una caduta; si dice anche che sia la madre di tutto quello che si arrampica, che si attorciglia, perché, dal sorgere del sole, ecco che il popolo dellombra si snoda, si distende, brulica, si allunga, si agita, si ramifica, pullula, come fanno i serpenti, gli scorpioni e i vermi»: sembra di leggere le note di sceneggiatura della più fantasmagorica fiction.
Spesso i racconti hanno andamento circolare, e le loro conclusioni sono casuali, una sorta di occhio di bue puntato a caso su uno dei tanti personaggi messi in scena. Ma al loro interno si aprono altre storie: come nel caso di Perché? Perché?, che comincia con un piccolo albero che desidera spostarsi in pianura, e seguita con il mito legato al miele, cibo edenico che Utakunua, il genio del miele appunto, «fresca e liscia e tutta profumata», elargisce agli uomini; e che essi infine perdono (e il paradiso che simboleggia) per avere infranto il divieto di nominare (nel dare un nome alle cose è lorigine della caduta nel tempo mortale); e finisce con Mosikasika, «il bambino che non era ancora venuto al mondo» e sta in un paese di laghi e di stoffe colorate, e di bestie immani e sconosciute.
Gli animali sono naturalmente protagonisti indiscussi di queste storie, repertorio di zoologia fantastica legato ai miti stagionali e di rinnovamento; esemplare in tal senso il racconto Possibile - Impossibile, con il mostruoso uccello che, inarrestabile, a poco a poco divora tutta la terra, dalle foreste, ai fiumi, alle montagne, ai villaggi e ai loro abitatori. Per poi - a seguito di varie peripezie e grazie ad un bambino un po magico - cedere nuovamente tutto dal proprio ventre squarciato: «Tutti vivi, ridono come se non fosse successo niente».
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