Dallinchiesta di Catania sullassassinio dellispettore Raciti emergono elementi di civile disperazione. Un ragazzo, diciassettenne con papà e mamma incensurati e «tranquilli», come recita la valutazione degli inquirenti, nega di avere ammazzato il poliziotto, ma ammette di essersi scontrato con le forze di pubblica sicurezza e di avere usato «come un ariete» una sbarra di ferro. Ordinaria violenza cittadina, in nome del calcio o di chissà cosaltro. Non vogliamo rubare il mestiere ai giudici, decidano loro sulla responsabilità del ragazzo, ma il dettaglio ci illumina sullabisso di violenza in cui tanti ultrà si calano nelle domeniche di campionato. Per anni abbiamo tollerato, spolverando sociologia e fumi pseudo-culturali, uninciviltà diffusa e contagiosa e oggi siamo chiamati tutti a rispondere di omissioni e di colpevoli tolleranze.
Come sempre, siamo sentimentali ed emotivi. A botta calda, di fronte alla morte di Raciti e al dolore composto della sua famiglia, siamo stati portati dallonda corta, ma intensa, della indignazione e dello sgomento, a invocare misure draconiane per far cessare lo scempio delle curve violente e degli agguati di tifosi. Basta, basta abbiamo gridato tutti, ma poi la notte può anche portare cattivo consiglio. Deglutito lo sdegno, molti hanno cominciato a ragionare da mercantucci miopi, severi ma flessibili e disponibili. «Lo spettacolo deve continuare», la vecchia massima è stata rivestita di parole mielose e accorte, ma è stata pronunciata. Si è anche osato dire che certi morti naturalmente oggi non cè nessuno che ammetta di avere pronunciato quelle parole possono considerarsi una sorta di «danno collaterale», parte del sistema.
Non è la prima volta che questo Paese, messo di fronte al problema della legalità, fondamentale per la civile convivenza, dà segni di schizofrenia e di civismo a corrente alternata: il rigore per i giorni di lutto, il lassismo per la festa che deve continuare.
Ma il segnale più grave e allarmante, in questi giorni di turbamento, viene da una potente corrente delle toghe, da Magistratura democratica, riunita ieri a congresso. Il leader della corrente (che è da sempre schierata a sinistra), Ignazio Juan Patrone, ha affermato che linasprimento delle pene per i giovanotti che usano le spranghe come un ariete è «uno strumento vecchio, spesso del tutto inutile». I giudici e i pm di Magistratura democratica hanno sempre dei consigli da dare: adesso vorrebbero che si ragionasse di più «sulle evidenti storture del mondo del calcio e non si cedesse a una deriva securitaria che mai ha dato risultati significativi». La vecchia infezione ideologica non è mai stata guarita, per Md la colpa è sempre del capitalismo, la responsabilità personale si diluisce sempre in un brodo sociale, per il quale alla fine i colpevoli sono sempre le vittime.
Ma se a ragionare in questo modo sono magistrati, custodi della legge, cose debbono pensare i cittadini inquieti?
In sostanza, Magistratura democratica ha criticato la linea dura assunta dal governo. Diciamoci la verità, questo esecutivo non brilla per energia, intelligenza e compattezza, ma qualche volta, magari sullonda del turbamento popolare, decide con apprezzabile fermezza. E, di là della dichiarata voglia di fare tabula rasa dei provvedimenti presi dai suoi predecessori, riconosce che la legge Pisanu sulla violenza negli stadi era giusta quanto inapplicata. E ammette che il ruvido guanto con cui la signora Thatcher esercitava la sua mano di ferro contro i teppisti travestiti da tifosi è il più adatto allattuale stagione italiana.
Ma certi giudici, anziché applicare le leggi pretendono di farle, fornendo al Paese un servizio di supplenza non disinteressata. I giudici di Md si preoccupano, anche, che la «deriva securitaria» non porti a una revisione delle norme sul processo minorile. Che attualmente non è processo, ma un percorso vagamente psicologico e psicanalitico che non determina responsabilità, ma perdonismi preventivi.
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