I prigionieri di Prodi

I prigionieri di Prodi

La «gioiosa macchina da guerra» dell’Unione – per usare un’espressione occhettiana che non portò fortuna al centrosinistra – pur nell’indeterminatezza del programma, si muove alternando proclami marziali e lusinghe mielose. Si ha l’impressione che il Professore e i generali del suo stato maggiore abbiano assunto uno specialista in psicologia militare, un distinto studioso costretto a star rinchiuso nel Tir giallo e a sfornare un’idea dopo l’altra.
L’ultima è questa: i dirigenti dell’Unione hanno reso noto che «faranno prigionieri», il che non significa che rispetteranno la convenzione di Ginevra, ma che in caso di vittoria, nella spartizione delle spoglie accetteranno qualche profugo del centrodestra. La metafora militare lascia intendere che, nella gestione del potere di governo e di sottogoverno, non faranno vendette, si sforzeranno di mostrarsi cavallereschi, perdoneranno ai deboli e magari manterranno, nelle boiarderie e dintorni, manager, dirigenti, suggeritori che si sono «compromessi» con l’attuale governo.
La mossa vorrebbe essere abile. Le sinistre e il centrosinistra, reduci da decenni di consociativismo, hanno sempre mostrato una feroce determinazione nella spartizione dei posti, privilegiando tessere e appartenenze ideologiche e di consorteria su competenza e meriti. Ma questa volta vogliono far sapere alla fascia alta e media degli apparati, che sono o stanno per diventare parte dell’establishment, che «daranno quartiere», non passeranno a fil di spada gli sconfitti. Un ammiccamento, un’allusione, un invito magari a disertare in tempo.
In un Paese dove c’è un certo tasso di generosi – che poi sono anche negli altri Paesi – disposti a soccorrere il vincitore a qualsiasi costo, secondo il Clausewitz della psicologia assunto a cottimo, l’idea dei «prigionieri» dovrebbe funzionare. «A sinistra c’è posto», ecco il messaggio, basta pentirsi, basta collaborare, cooperare.
La trovatina, poi, contiene una parte di messaggio che è quasi subliminale e che implicitamente minaccia così: ragazzi, abbiamo scherzato, le elezioni le vinciamo sicuramente noi dell’Unione, dell’Ulivo, delle sinistre, chiamateci come volete, ma datevi una regolata. Ecco, dietro il proclama ai prigionieri virtuali ormai c’è un delirio di onnipotenza che non riescono più a controllare. Tempo fa ironizzavano sui sondaggi e sull’arte demoscopica, oggi vivono di cartomanzia – con qualche precedente in materia di sedute spiritiche – e si drogano di campionature compiacenti. Faranno prigionieri, assicurano, ma intanto sfoggiano un’aria arrogante da unni di complemento. E gonfiano i petti già impreziositi da nastrini e medaglie: se continuano di questo passo ci chiederanno di non tenere le elezioni e dar loro vinta la partita, sulla base di qualche sondaggino. E Romano Prodi si arrabbia con Enrico Mentana che ha osato rendere noto un sondaggio in cui il Professore vince, ma di misura. Mentana complotta contro la verità: secondo il candidato delle sinistre, il giornalista avrebbe dovuto dire che l’Unione vincerà con un distacco abissale.

Siamo a questo, al delirio di onnipotenza, non si sono ancora fatte le elezioni e già pretendono le percentuali di consenso che un tempo si definivano bulgare.
Per fortuna ci sono ancora gli elettori e le urne e la facoltà di decidere, perché l’Italia è un libero Paese dove non c’è nessun regime. E dove i cittadini non vogliono darsi prigionieri.

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