I riti del sufismo mantenuti segreti

Nel febbraio del 2017, in Pakistan, a Sehwan, un kamikaze dell'Isis si fece esplodere in un tempio sufi uccidendo 90 fedeli musulmani. La furia degli jihadisti si è abbattuta contro il mondo del sufismo pakistano, che i gruppi radicali considerano una dottrina eretica da eliminare. Il sufismo ha una storia secolare e da molti viene anche considerato il ramo mistico della fede islamica. Per arrivare alla Conoscenza, cioè al divino, gli adepti si dedicano alle arti, alla poesia, alla musica, alla danza. Alcuni vivono come eremiti, altri in comunità, professano il culto dei maestri che li hanno preceduti e non credono alle divisioni religiose. Conoscere questo mondo vuol dire intraprendere un viaggio in un islam perseguitato dagli estremisti per il suo credo nell'armonia tra gli uomini e nella bellezza terrena come mezzo di ascesa al divino.

Gadap Town è uno dei sobborghi di Karachi, appena si entra nel quartiere si scorgono decine di banchetti che vendono carne di capretto e ci si imbatte in una folla di fedeli in processione verso il santuario di Mango Pir, un maestro sufi che visse in questa zona nel tredicesimo secolo, assieme a dei coccodrilli. Oggi, in suo onore è stato eretto un tempio, poco distante c'è il lago che ospita i 200 rettili e in cielo si librano i falchi in volo. È in questo scenario da mille e una notte che Khalifa Sajjad, rappresentante del sufismo a Karachi, vive da eremita prendendosi cura degli animali e dei pellegrini: «Quando in questo quartiere c'erano i talebani il santuario non era accessibile e i coccodrilli rischiavano di morire - racconta la guida spirituale -. Ma così non è stato e oggi i fedeli vengono a portare del cibo e io mi occupo di purificare le loro anime». Seduto all'interno della sua sala di preghiera, Khalifa Sajjad riceve uomini e donne, accende incensi, scuote piume di pavone e sfiora la fronte dei pellegrini invitandoli ad andare in pace, liberi da ogni supplizio interiore.

Se Khalifa Sajjad riflette l'aspetto del romitismo dei sufi, per conoscere invece il mondo dell'estasi e delle danze ipnotiche, occorre lasciare Karachi e dirigersi a Lahore.

Ed è di notte, all'interno di un cimitero, che centinaia di persone attendono nell'oscurità l'inizio delle celebrazioni. Il buio fa da cornice, i fedeli sono assiepati sulle tombe e Mithu Sain, percussionista e praticante sufi spiega: «Ogni giovedì dopo il tramonto ci ritroviamo per celebrare il nostro culto. Cantiamo e suoniamo; poi i fedeli ballano e raggiungono l'estasi. Da quando i talebani hanno intensificato gli attacchi contro di noi dobbiamo nasconderci e così i nostri raduni avvengono in località segrete». Poi la spiegazione si interrompe. «Alì! Alì,Alì!», il nome del vicario di Allah, seguito da quello del Profeta, viene gridato dalla folla per tre volte. Non è più tempo per le parole, per le spiegazioni, per il terreno: è il momento del misticismo.

I percussionisti scandiscono il tempo, i dervisci iniziano a volteggiare su se stessi, i presenti applaudono, i cyloom di terra cotta gonfi di hashish pakistano esplodono in nuvole di fumo azzurro e, intanto, non si fermano le danze, l'estasi si sprigiona e tutto diviene l'espressione di un islam che nell'invocazione Allah Akbar rincorre l'ambizione dell'essere ebbri di sapere per raggiungere un Dio che non contempla bandiere nere e autobombe, ma l'armonia tra gli uomini in ogni angolo del mondo.

Daniele Bellocchio

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