I sondaggi con i democratici ma il sorpasso non è certo

Distacchi minimi in molti collegi, e dopo la gaffe di Kerry tra i repubblicani si riaccende la speranza

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Che differenza possono fare due lettere in una campagna elettorale che ha usato miliardi di parole? Due lettere, non due missive: «Us». Sono quelle che John Kerry ha saltato leggendo un discorso che doveva essere un «chiodo sulla bara» di George Bush: «I somari a scuola finiscono per impantanarci in Irak». Il riferimento al presidente era preciso. Invece Kerry si è mangiato il «Ci», e così è venuto fuori che i somari sono i soldati, le vittime. Il lapsus è diventato bufera, Kerry si è andato a nascondere, è riemerso per dare una spiegazione più goffa della gaffe e i repubblicani hanno ricominciato a sperare. È stata quasi l’unica buona notizia delle ultime 24 ore, presa in sandwich fra sondaggi negativi o addirittura disastrosi, con la parziale eccezione di quello del Wall Street Journal, che salva il Senato per Bush, ma prevede la conquista della Camera da parte dei democratici. I numeri della Reuter aprono invece la possibilità di un «cappotto». Sugli otto seggi senatoriali decisivi, i democratici se ne aggiudicherebbero sette, per un totale di 51 a 49. Ma in quasi tutti i collegi i distacchi sono minimi, addirittura solo l’1 per cento nel Montana e in Virginia, dove c’è in pratica pareggio in una contesa singolare, che vede un ex ministro di Reagan candidato per il Partito democratico. Quasi altrettanto tenue il vantaggio dell’opposizione nel Missouri, tre punti, più netto, in Maryland, Ohio, Pennsylvania e Rhode Island (nella colonna democratica) e nel Tennessee e nel Kentucky («aggiudicati» ai repubblicani). Nel Connecticut è nettamente in testa il senatore uscente Joe Lieberman, che è democratico, ma che è stato sconfessato dal suo partito per l’appoggio dato alla guerra in Irak e che è stato «adottato» dai repubblicani. In ogni caso si arriverà dunque sul filo del rasoio. Alla Camera invece i democratici continuano (o almeno hanno continuato fino alla gaffe di Kerry) ad accumulare uno per uno i successi necessari per effettuare il «ribaltone»: debbono guadagnare almeno 15 seggi, 12 di questi pare li abbiano sicuramente in mano.
Ancora più allarmante per Bush l’indagine condotta dalla Cbs e dal New York Times, che non si riferisce ai seggi, ma al «voto popolare», cioè alla divisione delle simpatie fra i due partiti. In questa tabella (che non predice l’esito, ma soprattutto la tendenza) non solo il vantaggio dell’opposizione è netto, ma si distribuisce su quasi tutti i settori dell’opinione pubblica Usa. Secondo i sessi: le donne sono più democratiche degli uomini, ma anche questi ultimi tendono verso l’opposizione. Secondo le età, con i repubblicani sconfitti in tutte le «fasce», più largamente fra i giovani (che però sono i meno assidui alle urne). Secondo le fasce di reddito: praticamente in parità solo fra i 50 e i 100mila dollari, nettamente democratici i più poveri e i più ricchi. Secondo la geografia: nord e sud, est e ovest. E infine secondo il sentimento religioso. Gli «evangelici» sono da anni caccia riservata per Bush. Nelle intenzioni di voto per martedì prossimo, invece, le loro preferenze si distribuirebbero equamente, consegnando il risultato ai «tiepidi», in larga misura democratici.
Sorpasso assicurato? Tutt’altro. Perfino James Carville la conquista del Congresso continua ad essere «altamente problematica».

Insomma, «ci vorrebbe un miracolo». Figuriamoci dopo la gaffe di Kerry, la sua tragicomica omissione di due piccole lettere: «Us», che significa in questo caso «ci», ma è anche il nome della posta in gioco: United States.

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