È come se non fosse accaduto nulla. Ma fu una strage, invece. Era il 29 giugno del 1944 quando i militari nazisti uccisero 203 abitanti di Civitella, Cornia e San Pancrazio (Arezzo), sparando indiscriminatamente contro tutti. Compresi donne, bambini, anziani. Compreso il parroco del paese. Una strage agghiacciante, quanto assurda. Ma per i tedeschi è come se non fosse accaduto nulla, appunto.
Perché ieri la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha accolto il ricorso presentato dalla Germania contro l’Italia proprio per non risarcire le vittime di quel crimine.
Per comprendere la rilevanza di questa deliberazione e le polemiche che ha, inevitabilmente, subito innescato, occorre fare un passo indietro e andare al 2008, quando, per la prima volta, la nostra Corte di cassazione aveva sancito il diritto per le vittime delle stragi naziste a venire risarcite nell’ambito di un procedimento penale. Una sentenza storica, tenuto conto che, prima di allora, i risarcimenti riguardavano solo cause civili. Ma con questa sua sentenza la Corte dell’Aja ha di fatto stoppato la decisione della Suprema corte italiana, riconoscendo le ragioni di Berlino che, con il suo ricorso aveva accusato il nostro Paese di «venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell’immunità di uno Stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale». In buona sostanza la Germania si era rivolta al più alto tribunale delle Nazioni unite per rivendicare il rispetto della propria immunità giudiziaria. La Corte dell’Aja, nella sua lunga e articolata sentenza chiede a Roma anche di fare il necessario perché «le sentenze pronunciate dai tribunali italiani contro lo Stato tedesco siano prive di effetto». Non è proprio un omaggio alla memoria delle nostre vittime del nazismo e non è proprio un rendere giustizia anche ai familiari di quelle vittime, ma in compenso questa sentenza si configura come un precedente piuttosto pesante: la Germania sulla scorta di questa decisone non dovrà più risarcire le vittime italiane cadute durante l’occupazione del Terzo Reich. Vittime che, giusto per rinfrescarci la memoria, tra l’8 settembre del 1943 e l’aprile del 1945, durante la lenta ritirata delle truppe tedesche da sud a nord, furono 15mila. Cadute in oltre 400 stragi simili a quella di Civitella. «Si tratta di una decisione di realpolitik. In un altro scenario europeo non sarebbe successo», commenta con amarezza l’avvocato Roberto Alboni, legale dei parenti delle vittime della strage di Civitella in Valdichiana. «È una sentenza politica e non giuridica. È stata negata la giustizia a migliaia di orfani e vedove in tutta Italia» ha aggiunto dal canto suo l’altro legale dei parenti delle vittime, Niki Rappuoli.
Realpolitik o meno, la Germania si è affrettata comunque a lanciare, se pur vaghi, segnali di distensione. «Risolveremo ora tutte le questioni attinenti all’applicazione di questa sentenza con i nostri amici italiani, nello spirito di vero partenariato e dei nostri rapporti bilaterali stretti e improntati alla fiducia reciproca» assicura, da Berlino, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle. Che aggiunge: «Accolgo con favore la sentenza, che conferma la nostra interpretazione giuridica relativa all’immunità degli Stati. Il chiarimento di oggi - secondo il ministro - non era soltanto nell’interesse tedesco, bensì anche nell’interesse della comunità internazionale degli Stati. È bene che adesso abbiamo certezza giuridica». Poi una concessione sulla via della pietà: «Il ricorso - ha precisato Westerwelle - non era rivolto contro le vittime del nazionalsocialismo.
Il governo federale ha infatti sempre riconosciuto pienamente le loro sofferenze, né si tratta di mettere in discussione o relativizzare la responsabilità tedesca per i crimini della seconda guerra mondiale». Così, a scanso di equivoci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.