Paolo Armaroli
Tutto si potrà pensare del consiglio provinciale di Pisa, manco a dirlo egemonizzato dal centrosinistra, tranne che abbia il pregio delloriginalità. Buon ultimo si accoda ai tanti enti locali che hanno avuto la bella idea di codificare nei loro statuti il diritto di elettorato attivo e passivo per gli immigrati extracomunitari. Nellimmediato dopoguerra, per protesta nei confronti del governo che aveva rimosso il prefetto di Milano Troilo, imposto dal Cnl, Giancarlo Pajetta occupò con i suoi la prefettura. E, felice come una Pasqua, comunicò la notizia a Palmiro Togliatti. Anziché rallegrarsi, il Migliore gelò il compagno di partito con queste parole: «Bravi, e adesso che ve ne fate?». Ecco, la stessa cosa si potrebbe replicare a quegli enti locali che si sono misurati con cose più grandi di loro. Bravi, e adesso di consimili disposizioni statutarie che ve ne fate?
Già, perché i casi sono due. Tali disposizioni o hanno una loro valenza giuridica e allora sono contrarie alla Costituzione, o ne sono prive e allora appaiono perfettamente inutili. Alla prima scuola di pensiero ha aderito il Consiglio di Stato, alla seconda la Corte costituzionale. Ma vediamo come stanno esattamente le cose. Nel suo parere del 28 luglio 2004 il Consiglio di Stato ha ritenuto che nulla osta alla concessione - a ben precise condizioni - dellesercizio del diritto di voto agli immigrati extracomunitari nelle sole elezioni circoscrizionali, in base allargomento che le circoscrizioni sono organi ai quali larticolo 17 del Testo unico sullordinamento degli enti locali attribuisce compiti esclusivamente partecipativi e consultivi, oltre alla gestione dei servizi di base, con esclusione quindi di qualsiasi funzione politica e di governo.
Ma lo stesso Consiglio di Stato, nel parere del 6 luglio 2005 sollecitato dal ministero dellInterno, ha manifestato tuttaltro avviso. Una volta dimostrato che le circoscrizioni sono a ogni effetto organi dei comuni, è pervenuto alla conclusione che la codificazione del predetto diritto contrasta con diverse norme costituzionali. E precisamente con gli articoli 48 e 51, che espressamente coniugano con la cittadinanza il diritto di elettorato e di accesso alle cariche pubbliche; con larticolo 10, secondo il quale la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge; con larticolo 117, che riserva tra laltro alla legislazione esclusiva dello Stato le materie della condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti allUnione europea, dellimmigrazione, della legislazione elettorale di comuni, province e città metropolitane. E daltra parte i diritti politici non potrebbero avere un contenuto differenziato nellambito della Repubblica, espandendosi o comprimendosi a seconda dei casi. Perché così lunità giuridica dellordinamento andrebbe a gambe allaria.
A sua volta la Corte costituzionale ha sì salvato analoghe disposizioni contenute negli statuti di regioni rosse quali lEmilia Romagna e la Toscana. Ma al tempo stesso le ha ridicolizzate. E il ridicolo, si sa, può uccidere. Difatti nelle sentenze 372 e 379 del 2004 la Consulta ha rilevato che «esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa». Insomma, sono acqua fresca o giù di lì.
Il bello è che il centrosinistra a livello locale scaglia il sasso e a livello centrale nasconde la mano. A partire dal 1994, infatti, ha presentato in Parlamento iniziative legislative in tal senso che poi ha chiuso in un cassetto e ha buttato via la chiave.
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