Aprire un romanzo con una catastrofe è un espediente narrativo banale, ma stavolta la catastrofe è scelta bene e meglio raccontata: uno spettacolare crash postmoderno, come Ballard comanda. A bordo dell'auto distrutta ci sono Clotilde, un'insegnante di flauto e il fidanzato Igor, un medico che ha scelto la specializzazione in epatologia perché affascinato dalla capacità del fegato di metabolizzare le peggiori tossine e poi, invece di ammalare, riformarsi; probabile allegoria della terra dove la vicenda è ambientata, Catania e provincia, all'ombra di un vulcano che periodicamente ricopre di impalpabili detriti le sue pendici. Il triangolo del romanzo di Viola di Grado Marabbecca (Nave di Teseo, pagg. 208, euro 19) si è già formato, fra le macchie di sangue e i cespugli di grevillea: lui, lei e Angelica, la ragazza «che spuntando da una sterrata con il suo bikini glitterato» li ha fatti andare fuori strada. La scena successiva si svolge in una clinica: l'epatologo è inabissato in un coma giudicato irreversibile; la sua compagna, invece, ha un braccio rotto. Nei giorni successivi, Clotilde rifiuta le visite della madre, ma non può evitare che venga a trovarla Angelica con la quale, una volta dimessa, intesse una relazione; appassionata ornitologa, la ragazza vive in un appartamento le cui pareti sono occupate da sterminate voliere nelle quali si agita una genia di uccelli silenziosi: rarefazione emblematica e stilizzata che aleggia su altri aspetti della trama e dei personaggi e che potrebbe ricordare i fumetti giapponesi.
Qualche giorno fa, in un articolo dedicato al resistibile successo del genere del romance, il critico Bonina ha inserito Di Grado nella lista delle scrittrici più note, ma naturalmente si è ben guardato da una chiamata a correità: anche se
il titolo potrebbe evocare le accabadore e le arminute, Marabbecca fa storia a sé, come del resto gli altri libri di una narratrice che ha dimostrato di saper resistere benissimo alle sirene della letteratura più triviale.
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