"Vi svelo il colpo di Stato permanente. Il regista? Napolitano"

Libro-denuncia del filosofo grillino Paolo Becchi, che voleva l'impeachment: "Ne parlai ben prima di Friedman. Il presidente si crede De Gaulle"

"Vi svelo il colpo di Stato permanente. Il regista? Napolitano"

Lo strapotere di chi detiene il potere è una fissa del professor Paolo Becchi, docente di filosofia pratica e bioetica all'Università di Genova, a torto o a ragione considerato l'ispiratore della richiesta di impeachment presentata dal Movimento 5 stelle contro il presidente della Repubblica. La prima volta che lo intervistai sul Giornale, febbraio 2009, ben pochi in Italia sapevano chi fosse. Qualche mese prima, L'Osservatore Romano aveva citato in prima pagina il suo libro Morte cerebrale e trapianto di organi, che contestava il rapporto di Harvard, utilizzato dal 1968 per giustificare i prelievi di parti anatomiche da cadaveri con il cuore battente. S'era scatenato il finimondo. Mi parve giusto andarlo a trovare per discutere della fine di Eluana Englaro, la donna in stato vegetativo lasciata morire di fame e di sete in una clinica di Udine per decreto dei magistrati. Becchi non si tirò indietro.

Da quel momento in poi al docente ligure - «cattolico non praticante; una moglie atea, anticrista e rifondarola; tre figli non battezzati» - si dischiusero orizzonti impensati: editorialista sui quotidiani (incluso questo), opinion maker, ospite televisivo. Fino a essere additato come l'ideologo del Movimento 5 stelle: «Non ho quest'ambizione. Sono semplicemente amico di Beppe Grillo, in senso schmittiano (con riferimento al giurista, filosofo e politologo tedesco Carl Schmitt, che piaceva a Gianfranco Miglio, il teorico della prima Lega, ndr)».

Dieci mesi dopo, il docente universitario pretendeva che lo aiutassi a pubblicare un libro intitolato Anatomia di un dolore. La storia della sua fistola anale. Un caso esemplare d'imperizia medica. Pagine di crudo realismo e di afflizione tormentosa, ma anche di grande umanità, che avrebbero conquistato chiunque: tutti hanno un culo. Poiché non sono un editore, non potei fare nulla per lui. Gli è andata meglio lo scorso 10 marzo, quando mi ha inviato in lettura un secondo saggio, Colpo di Stato permanente, che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia perché Becchi, in 92.643 battute, smascherava con solide argomentazioni il disegno egemonico di Giorgio Napolitano, regista di un vero e proprio golpe istituzionale - questa la tesi di fondo - che perdura da quasi tre anni. Ho girato seduta stante l'originale a Cesare De Michelis, presidente della Marsilio, che nel giro di un mese lo ha già stampato. Mercoledì prossimo Colpo di Stato permanente (96 pagine, 9 euro) esce nelle librerie.

Quando sarebbe cominciato questo putsch morbido?
«Nell'estate 2011, con la crisi dell'euro creata sui giornali attraverso l'innalzamento artificioso dello spread, che mise sotto schiaffo il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Si capiva perfettamente che i poteri forti italiani e stranieri avevano cominciato a muoversi sotto traccia».

«Poteri forti» non significa nulla. Nomi, per favore.
«In Italia, oltre a Napolitano, Carlo De Benedetti, cui fa capo il gruppo editoriale della Repubblica e dell'Espresso, e il duo Abramo Bazoli-Corrado Passera, allora alla guida di Intesa San Paolo, prima banca del Paese. Non si dimentichi che Bazoli è sempre stato il dominus anche del Corriere della Sera. All'estero, la troika, cioè Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale».

Come capì che avrebbero ordito un colpo di Stato?
«Be', bastava aver letto la lettera strettamente riservata inviata il 5 agosto dalla Bce a Berlusconi, con l'ultimatum a varare “con urgenza” misure “per rafforzare la reputazione della firma sovrana” dell'Italia, poi resa pubblica dal Corriere, e l'editoriale “Il podestà straniero” scritto da Mario Monti sulla medesima testata due giorni dopo, in cui si censurava “l'incapacità di prendere serie decisioni” da parte del governo. Un'autocandidatura a presidente del Consiglio. Oggi sappiamo che era quello l'accordo raggiunto sotto banco con Napolitano. Nel gennaio 2012 parlai per la prima volta in un articolo di “colpo di Stato sobrio”. Di recente a Piazzapulita su La7 l'ho ricordato ad Alan Friedman, che nel suo libro Ammazziamo il gattopardo ha appena svelato i retroscena della macchinazione, riportando le confessioni di chi vi prese parte. S'è molto stupito: “Ma come, ne avevi già scritto due anni fa?”».

Però non accadde nulla.
«A me qualcosa accadde. Francesco, 18 anni, entrò tutto eccitato nel mio studio: “Pa', sei finito in Rete!”. Confesso che all'epoca manco sapevo che cosa fosse Internet, lo consideravo solo uno sfogatoio del sistema. Sul computer di mio figlio scorreva il filmato di un tizio che leggeva l'editoriale scritto da me. Era Claudio Messora, attuale capo della comunicazione dei 5 stelle al Senato».

Con quali strumenti si è reso permanente il colpo di Stato?
«Uno solo: la gestione delle istituzioni ormai nelle mani di Napolitano. Siamo alla Terza Repubblica. Gli italiani sono passati senza accorgersene da un sistema di governo parlamentare a uno presidenziale. È stata modificata la Costituzione materiale senza che si cambiasse quella formale».

Berlusconi denuncia quattro colpi di Stato in 20 anni.
«Perciò parlo di golpe permanente: ci viviamo dentro. Il ruolo di Napolitano nella caduta del Cavaliere è stato fondamentale, con una strategia di lungo percorso. Prima abbiamo assistito al lento logoramento del capo dei moderati a opera di Gianfranco Fini, rimasto presidente della Camera, nonostante lo scandalo della casa di Montecarlo, solo perché protetto da Napolitano. Ma l'implosione del Pdl non è bastata ad acciaccare il potere carismatico del suo leader. Allora si è passati allo screditamento per vicende di letto. Altro buco nell'acqua: in Italia quelle al massimo sono considerate benemerenze. Quindi è scattato l'assedio economico, nel fondato timore che Berlusconi e Tremonti avessero predisposto un piano B per l'uscita dall'euro. Non so se ha presente l'andamento del titolo Mediaset in Borsa a ridosso dell'avvento di Monti. Per annientare il Cavaliere stavano distruggendo la sua azienda e anche l'Italia».

Lei al posto di Berlusconi in che modo si sarebbe difeso?
«Difficile dirlo. Però mi chiedo: oggi perché non fa saltare il banco e manda a casa Renzi?».

La Terza Repubblica è stata voluta dalla troika, scrive nel libro. Non è che sia venuta bene: siamo ancora in alto mare.
«Ue, Bce e Fmi non possono venirci a dire che l'Italia non ha fatto i compiti a casa. Semmai abbiamo fatto i compiti sbagliati: tasse, macelleria sociale per i prossimi 20 anni, Costituzione massacrata, fiscal compact, fondo salva Stati. Ma il debito pubblico, invece di calare, aumenta. Forse i compiti assegnatici erano destinati a un'altra classe».

Pensa, come Marco Travaglio, che Napolitano si sia autoproclamato re d'Italia?
«Penso che si creda Charles de Gaulle. Il quale, assumendo la presidenza della Francia nel 1958, proclamò di essere la sintesi di monarchia e repubblica. Napolitano è andato ben oltre i poteri che la Carta gli concede. Già il fatto stesso che si sia fatto rieleggere è abnorme. Alla Costituente vi fu un lungo dibattito circa l'introduzione di un limite onde evitare un secondo mandato presidenziale. Alla fine i saggi padri della Repubblica conclusero che nessun inquilino del Colle, dopo un settennato, sarebbe voluto rimanere ancora in carica. Insomma, la clausola parve superflua e perciò fu omessa. Errore fatale. Oggi ci ritroviamo con un presidente che teoricamente resterà in carica fino ai 95 anni e, per assurdo, potrebbe farsi rieleggere una terza volta. Neanche in Venezuela».

Il punto più basso quando lo ha toccato?
«Il 24 ottobre 2013, quando ha convocato al Quirinale i capigruppo della maggioranza per discutere di una nuova legge elettorale, ritenendo che quella vigente fosse incostituzionale. Non poteva farlo. Esprimendosi in quel modo, il capo dello Stato ha influenzato un giudizio che nel nostro ordinamento competeva esclusivamente alla Consulta, la quale non a caso il 3 dicembre gli ha dato ragione, bocciando il Porcellum. Non solo: Napolitano ha ascoltato il parere della minoranza, M5s e Lega, solo l'indomani. Altro sfregio istituzionale: avrebbe dovuto farlo contestualmente, nella stessa giornata, e non correre ai ripari in seguito alle proteste degli esclusi. Lì credo che lui stesso si sia reso conto di aver oltrepassato ogni limite. Ce n'era a sufficienza per far scattare la messa in stato di accusa».

La richiesta d'impeachment l'ha scritta lei per Grillo?
«Preferisco non rispondere».

Nel suo libro si legge: «Matteo Renzi si è recato a colloquio da Napolitano, per discutere – questa la nota ufficiale – di “riforma della legge elettorale” e “riforme istituzionali”. Ossia dei due temi su cui, una settimana più tardi, è stato stretto il patto con Berlusconi». Indirettamente il capo dello Stato sarebbe un benefattore del Cavaliere?
«Io non credo che Renzi disponga dell'intelligenza sufficiente per architettare un piano così machiavellico. È semplicemente un giovanotto ambizioso che ha fatto le scarpe a Enrico Letta. Napolitano viveva nel sogno del compromesso storico: l'ha realizzato con le larghe intese. Dopodiché ha abbandonato Berlusconi al suo destino giudiziario».

Giudizio complessivo sul faccio-tutto-io fiorentino?
«In una parola? Pura demagogia. La differenza fra Grillo e Renzi è tutta qui: il leader genovese è un populista in senso buono, vicino alla gente; l'ex sindaco è un demagogo che deve solo trascinare il popolo. Peccato che lo stia precipitando nel baratro».

Durerà?
«Alle elezioni europee il Movimento 5 stelle ha buone probabilità di oscurare il Pd. Ma poiché Renzi non possiede la statura politica di un Massimo D'Alema, che si dimise dopo aver perso di poco le regionali del 2000, non farà un passo indietro».

Chi dopo Napolitano?
«Se avesse 30 anni di meno, ancora lui. Vedo ben piazzato Romano Prodi. Siccome ha dichiarato che non corre per il Quirinale, quella è la prova che ci spera ancora. Essendo stato trombato nel 2013, ritiene che il risarcimento gli sia dovuto. In alternativa c'è sempre pronto il jolly Monti».

Perché Grillo l'ha sconfessata?
«Non è esatto: la mia sovraesposizione mediatica lo ha semplicemente indotto a precisare che non rappresentavo il M5s. Ma ci siamo sentiti per telefono anche pochi giorni fa. La prima volta lo incontrai in piazza De Ferrari a Genova, durante lo Tsunami tour. Mi abbracciò e mi chiese: “Vuoi dire qualche parola alla folla?”. Furono i suoi a trascinarmi sul palco. Dopodiché mi sono limitato a scriverci un libro, I figli delle stelle. A Beppe voglio bene. All'occorrenza ci sfanculiamo. Ma ripudio e tradimento non sono contemplati. Mai aspirato a una candidatura o a diventare l'ideologo dei pentastellati».

Per il ruolo di guru basta Gianroberto Casaleggio.
«Può dirlo. Lui vive anni luce più avanti di noi.

Ho analizzato per un'intera estate i suoi testi, poi gli ho dedicato un saggio su Paradoxa, intitolato “Cyberspazio e democrazia”. Casaleggio ha cambiato il modo di far politica. Anzi, il mondo. Senza di lui il Movimento 5 stelle non esisterebbe».
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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