Caso Abu Omar, la Corte: "Pollari consentì alla Cia di violare la sovranità nazionale"

Per i giudici che hanno condannato Pollari e Mancini, il segreto di stato non può essere invocato: "Non copre la materia del reato"

Caso Abu Omar, la Corte: "Pollari consentì alla Cia di violare la sovranità nazionale"

Ci va giù pesante, la Corte d'appello di Milano, per spiegare le condanne ai cinque uomini dei nostri servizi segreti per il rapimento Abu Omar inflitte il 12 febbraio. Ma per arrivare a farlo, per indicare l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari come il prezioso alleato della Cia nel rapimento dell'imam estremista, i giudici devono aggirare un ostacolo non da poco: il segreto di Stato imposto da tre governi consecutivi - Prodi, Berlusconi, Monti - sulla delicata vicenda. Ed è un ostacolo che la Corte scavalca con un cavillo - la mancanza di una firma - e un ragionamento sottile ai limiti del sofismo. Lasciando così qualche chance a Pollari e ai suo quattro 007 - Marco Mancini, Raffaele Di Troia, Giuseppe Ciorra e Luciano De Gregori - di evitare in Cassazione le pesanti condanne al carcere.
Pollari, scrivono i giudici che hanno condannato il generale a dieci anni di carcere, permise «che venisse concretizzata una grave violazione della sovranità nazionale». Gli agenti segreti italiani «erano ben consapevoli del fatto che la parte lesa (Abu Omar, indagato per terrorismo, ndr) fosse ricercata dagli Americani nell'ambito di un progetto definito come "extraordinary rendition"», «al fine di sottoporla ad interrogatori in qualità di sospettata di partecipazione ad azioni terroristiche». E il Sismi aveva «la consapevolezza del destino cui la parte lesa veniva avviata, destino che si è purtroppo compiuto (con le torture cui Abu Omar è stato sottoposto) e che rende particolarmente riprovevole il fatto oggetto di giudizio».
Conclude la Corte d'appello, ricordando che l'imam estremista aveva ricevuto rifugio in Italia perchè i suoi diritti venissero protetti: «Chi ha eseguito, o comunque in qualsiasi modo partecipato al reato, ha consentito che tali diritti venissero violati; e particolarmente grave è da ritenersi la partecipazione al reato di soggetti che, per la loro posizione soggettiva di appartenenti ad una istituzione dello Stato, avrebbero dovuto garantire che simili violazioni non venissero commessi».
Per arrivare a queste conclusioni, la Corte - presieduta dal giudice Luigi Martino - ha dovuto acquisire agli atti del processo i documenti che, nel corso delle udienze, il governo Monti aveva inutilmente cercato di coprire con il segreto di Stato, con provvedimenti notificati alla Corte dai vertici dei servizi segreti. Ma proprio il fatto che i provvedimenti non recassero direttamente la firma di Monti viene citato dai giudici per spiegare perchè non ne hanno tenuto conto: «la missiva non proviene dal presidente del Consiglio, ossia dall'autorità competente all'apposizione del segreto di Stato, ma dallo stesso direttore dell'Agenzia Informazioni». E comunque, scrivono, il governo ha sempre escluso che il Sismi fosse coinvolto nel sequestro: ergo, l'intera vicenda del sequestro non può essere coperta dal segreto di Stato, non rientrando tra le attività istituzionali della nostra intelligence.
Resta un dato di fatto: ai cinque imputati non è stato reso possibile difendersi, proprio perché i documenti a loro discolpa - che, si dice, chiamerebbero in causa altre sezioni e altri capi del Sismi - erano anch'essi coperti dal segreto di Stato. La Corte liquida questa lamentela sostenendo che la scoperta di altri colpevoli non avrebbe rimosso le colpe dei cinque imputati. Così Pollari viene condannato a dieci anni di carcere, Mancini a nove, gli altri 007 a cinque anni. E tutti insieme da oggi dovranno risarcire il milione di euro di risarcimento a Abu Omar, nonostante che l'imam sia per la giustizia italiana tuttora indagato per terrorismo e tuttora latitante. Non risulta, a tutt'oggi, che il governo intenda farsi carico del risarcimento.


Ma sull'intera vicenda, oltre all 'inevitabile ricorso in Cassazione, pesa il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dal governo Monti davanti alla Corte Costituzionale: che, per la seconda volta, dovrà stabilire se per dare la caccia agli autori del sequestro la magistratura milanese abbia invaso quel terreno della sicurezza nazionale davanti al quale ogni altra esigenza deve cedere il passo.

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