Fosse vivo, Jonathan Swift scriverebbe un saggetto gustoso e protervo sui grandi quotidiani di sinistra e la minore età. Repubblica ha inneggiato a suo tempo al Palasharp degli intellettuali neopuritani, quando un tredicenne diede del maiale a Berlusconi, allora presidente del Consiglio, come si faceva negli stadi di Kabul prima dell'arrivo dei nostri. Da anni quel giornale danna le feste con giovani, donne e vecchi amici, e rappresenta la Sodoma e Gomorra della sua fantasia con l'icona ormai celebre, grazie al processo Ruby che mette l'acquolina in bocca alla sinistra morbosa e guardona, di una madre di famiglia, la signora Karima El Marough, che fu una minorenne in un anno fatale per la morale e la giustizia italiane (non senza aggiungere, come ha detto in tribunale il pm, che spesso in certe case vengono invitate a cena donne «appena maggiorenni»: e ho detto tutto).
Ieri nuova svolta giornalistico-culturale. Ma gay, stavolta. E qui scatta tutta la differenza di stile, di contenuto e di sostanza. Repubblica ospita in prima pagina, sotto la solita e non proprio freschissima idea di una «drammatica testimonianza», un diciassettenne che si dichiara gay (il suo nome è Davide Tancredi), che soffre per la sua condizione e la considera una sfortuna, che intende rivendicare l'accettazione sociale piena e matrimoniale del suo legittimo amore, che dice di scrivere per evitare di suicidarsi e commenta il suicidio di un intellettuale e scrittore francese, Dominique Venner, il quale si è ucciso, fatto tristemente noto, nella cattedrale di Notre Dame con motivazioni esemplari e provocatorie riguardanti quella che ha percepito come la fine di una civiltà (prevalenza dell'islam e nozze gay).
La prima pagina dedicata da Repubblica alla ricreazione con giovani donne serve da anni per trasferire il concetto di colpa su un uomo pubblico, con l'aiuto di una bizzotica accusa penale fondata sulla minore età del soggetto coinvolto nell'invito a cena. La minore età di un testimone gay e maschio diventa invece il segnacolo in vessillo di un amore negato, di una colpa che il testo trasferisce sulla società e in particolare su quella parte della società che ha obiezioni più o meno serie, ma tutte da delegittimare come perfidia moralista, all'idea di un matrimonio il cui significato tradizionale sia superesteso per legge all'amore che una volta non osava pronunciare il suo nome. So distinguere tra fatti, circostanze e significati diversi di testi, avvenimenti, cose e persone, ma mi permetto di osservare che in fatto di costume e di visione della vita e di rispetto delle forme e delle proporzioni la confusione da quelle parti è massima. Lo dico senza problemi perché avevo già avuto modo di osservare, nella mia ormai annosa e noiosa specializzazione di commentatore di fatti inerenti il ciclo sesso&origliamento&morale pubblica, che se Berlusconi fosse gay il processo contro di lui e la campagna aspra, calunniosa e insultante contro di lui non sarebbero mai nati.
Il ragazzo gay che scrive a Repubblica ed è esibito come un trofeo in prima pagina ha diritto a una comprensione non paternalistica e non equivoca. Le sue intenzioni, nate da una esperienza personale, possono essere le più autentiche, e vanno rispettate. Come andrebbe rispettato il gioco galante delle giovani donne che vivono liberamente la loro vita, in ogni circostanza. Cosa che, al netto delle risibili presunzioni di reato ammesse in tribunale, sulla stampa e nel modo un po' laido di trattare la questione di Ruby non è mai avvenuto. Quando l'amore e l'eros si fanno e basta, è o dovrebbe esser privacy. Quando si fanno discorso di legge, peccato pubblico negli occhi dei sospettosi (omnia munda mundis), questione di società, ecco che bisogna fare molta attenzione a rispettare esperienze, personalità, storie individuali, specie e con un accento ancora più rigoroso se si tratti di minori (naturalmente). L'invenzione retorica di santi dell'eros gay e puttane della seduzione femminile non ha niente di decente e di razionale, per non dire di laico.
Con tutto il rispetto, il ragazzo che scrive di amore e matrimonio fa confusione, e non c'entra la sua minore età di bandiera. Non sono, come lui afferma, l'omofobia né la dottrina cattolica il motore della rivolta francese contro le nozze gay e degli argomenti usati da tanti non-omofobi, compresa la psicoanalista della rive gauche Sylviane Agacinski e molti tra noi laici. Il complesso itinerario che porta a ratificare la fine del matrimonio come lo abbiamo fino a ora conosciuto, l'unione di un uomo e di una donna in tutta la sua imperfezione ma anche in tutta la sua promessa, implica molte faccende di rilievo e di interesse sociale e pubblico, a partire dall'adozione, dalla fabbricazione e dall'educazione dei figli, e questi argomenti non sono una cenciata violenta in faccia a chi ama persone dello stesso sesso. Tra parentesi, andrebbe ricordato che una delle figure più genuinamente «di destra» della recente storia mondiale, il già vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney, padre felice di una figlia che ha contratto un matrimonio lesbico, la pensa come il giovane Davide Tancredi.
La prossima volta che il grande quotidiano nazionale di sinistra vorrà farci la lezione puritana, ed esibire questa strana e impudica doppia morale in materia di vite di minori e di scelte personali, faccia almeno attenzione alla selezione degli argomenti che sono messi in pagina, che è perfino più importante del rispetto
che in ogni caso sarebbe dovuto all'età acerba delle persone, una volta da relegare in comunità o da processare come sgualdrina e un'altra volta da schiaffare in prima pagina per agitare il vessillo dell'amore senza colpa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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